Hanno abbandonato i medici di base
La pandemia decreta il fallimento Medici di base isolati Sistema territoriale in tilt fra vigile attesa e stop delle visite a domicilio.
lunedì 14 febbraio 2022
Le pillole anti Covid di Merck e Pfizer non possono essere prescritte dai medici di famiglia, autorizzati a operare solo una «selezione» del paziente. Secondo una determina dell'Agenzia italiana del farmaco, inserita(...)nella circolare del ministero della Salute del 10 febbraio, la «prescrivibilità del prodotto è limitata ai medici operanti nell'ambito delle strutture identificate», ovvero specialisti ospedalieri che, se d'accordo, mettono a disposi zione gl i antivirali nelle farmacie ospedaliere. Così i tempi si allungano, l'efficacia dei preparati rischia di essere vanificata e ancora una volta viene svuotata d'importanza la figura dei medici di medicina generale (Mmg), che assieme ai pediatri di libera scelta sono attualmente 50.568 su tutto il territorio. Entro il 2027 ne andranno in pensione circa 35.200 e «potrebbero chiudere più di 5,000 ambulatori», avvertiva la scorsa estate Gianluca Giuliano, segretario nazionale della Ugl salute. «Oltre 15 milioni di pazienti si troverebbero senza un punto di riferimento fondamentale».
Parliamo di professionisti che non raccolgono grandi consensi per il loro operato sul territorio, e che negli ultimi due anni non sembrano aver svolto un grande ruolo. Certo, quando è scoppiata la pandemia sono stati mandati al fronte senza mascherina e con le buste di plastica ai piedi. In ambulatorio a reggere l'ondata, praticamente a mani nude. Poi, però, la maggior parte dei medici di base ha detto no, non siamo nella condizione di operare e si sono rifiutati pure di prestare assistenza domiciliare ai malati Covid.
Molti nemmeno rispondevano al telefono, costringendo milioni di cittadini ad aspettare terrorizzati il peggiorare dei sintomi per poi chiamare il 118. Un contagiato su tre finiva al Pronto soccorso, pur sapendo che se ricoverato 0 intubato rischiava di non rivedere più i familiari. Un mese fa, circa 200 dottori di famìglia hanno scritto al direttore dell'Agenzia di tutela della salute (Ats) di Milano, Walter Bergamaschi, dicendo: «Vogliamo tornare a fare i medici clinici, a fare prevenzione, a curare i pazienti! Sono le ragioni per cui, pochi 0 tanti anni fa, abbiamo scelto la nostra professione». Lamentavano di essere subissati di pratiche amministrative, di lavorare più «davanti a portali quasi sempre mal funzionanti », che a seguire gli assistiti, e di «essere stati lasciati soli».
Sicuramente la medicina del territorio è stata smantellata, anziché incentivarla attraverso un riordino come prevedeva il Piano sanitario nazionale 2003/2005, puntando alla «riduzione del numero dei ricoveri impropri negli ospedali per acuti» però senza aumentare i posti in tutti gli ospedali più grandi e non affrontando il problema della riforma dell'assistenza primaria. Era evidenziata «la necessità ormai inderogabile di organizzare meglio il territorio, spostandovi risorse e servizi che oggi ancora sono assorbiti dagli ospedali», e che medici di medicina generale devono «giocare un ruolo maggiore che in passato», anche con la sanità digitale.
Però, quando abbiamo dovuto affrontare l'emergenza Covid, si è visto chiaramente che assai poco era stato fatto per rendere il territorio «soggetto attivo che intercetta il bisogno sanitario». Pazienti abbandonati a sé stessi durante la prima ondata, ma ancora privi di assistenza domiciliare nelle recrudescenze del virus perché, tranne sparute eccezioni, i medici di famiglia si attenevano al protocollo del ministero della Salute e consigliavano Tachipirina assieme a vigile attesa. Non era un'alternativa al ricovero, purtroppo finiva per renderlo inevita bile in quanto non trattati subito con monoclonali, con altri farmaci off label 0 anche solo con antivirali che «se usati precocemente in un contesto di prossimità territoriale avrebbero potuto salvare molte vite, ma non sempre è successo», come ha sottolineato il presidente dell'Aifa, Giorgio Palù.
La terapia farmacologica domiciliare per pazienti Covid presuppone, inoltre, la visita, l'osservazione dei sintomi per una prescrizione appropriata, eppure milioni di cittadini hanno dovuto ancora una volta arrangiarsi. Infetti, chiusi in casa con le loro paure, aspettando che il medico richiamasse o rispondessea un messaggio. Tantoei sono le Usca, le Unità speciali di continuità assistenziale per la presa in carico dei malati di Covid, si giustificavano i dottori, però i medici di medicina generale non sono esentati dal fare loro visita. Con una sentenza del 18 dicembre 2020, si era infatti espressa la terza sezione del Consiglio di Stato chiarendo che l'esplosione della pandemìa da Covid non cambia i concetti di malattia acuta e cronica sui quali si basano i livelli essenziali di assistenza (Lea).
Quanti pazienti possono affermare di essere stati seguiti durante l'emergenza Covid? I medici di famiglia, non dipendenti del Ssn ma liberi professionisti convenzionati, che lavorano cinque giorni la settimana in base ad accordi collettivi, sono stati grandi assenti anche nella campagna vaccinale su larga scala. Immunizzavano per lo più pazienti in età avanzata e persone che per motivi di salute non potevano spostarsi da casa. La maggior parte della popolazione è passata dagli hub, 0 dalle farmacie, per farsi la punturina.
Solo con i booster, e considerato lo smantellamento dì molti centri vaccinali, in seguito ad accordi e stanziamenti predisposti dalle singole Regioni, i VI mg si sono fatti coinvolgere nella somministrazione delle terze dosi. Guardiamo, come dicevamo in apertura, che cosa accade adesso con il Paxlovid, il pri mo farmaco antivirale orale autorizzato dall'Ema contro il Covid nei pazienti adulti e il Molnnpiravir, antivirale orale di Merck & Co. Entrambi vanno somministrati seguendo una tempistica rigida, entro cinque giorni dall'insorgenza dei sintomi, i medici di base e le Usca possono individuare e segnalare i pazienti che ne hanno necessità «allo specialista ospedaliero infettivologo o pneumologo che, a sua volta, fa la prescrizione in modo che il paziente possa ritirare il farmaco dalla farmacia ospedaliera dell'ospedale. Ma ciò comporta una grande perdita di tempo», si è giustamente lamentato Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici (Fnomceo). La questione non è solo rendere questi farmaci più facilmente reperibili sul territorio, ma chiedersi che cosa ci stanno a fare i medici di medicina generale,