Cassazione Penale Sentenza n. 34535/19 – Medico addetto al servizio di continuità assistenziale
Il medico rifiuto' una visita domiciliare presumendo una enfatizzazione dei sintomi: rifiuto di atti d’ufficio
martedì 30 luglio 2019
Integra il delitto di rifiuto di atti d’ufficio la condotta del sanitario in servizio di guardia medica che non aderisca alla richiesta di intervento domiciliare urgente nella persuasione a priori della “enfatizzazione” dei sintomi denunciati dal paziente, posto che l’esercizio del potere-dovere di valutare la necessità della visita sulla base della sintomatologia esposta, sicuramente spettante al professionista, è comunque sindacabile da parte del giudice al fine di accertare se esso non trasmodi nell’assunzione di deliberazioni ingiustificate ed arbitrarie, scollegate dai basilari elementi di ragionevolezza desumibili dal contesto storico del singolo episodio e dai protocolli sanitari applicabili. La Corte di Appello, nel disattendere le argomentazioni difensive volte a sostenere la legittimità della scelta dell’imputato di non effettuare la visita domiciliare richiestagli, ha ritenuto che durante la lunga telefonata protrattasi per oltre tredici minuti, il medico di turno “non aveva formulato alcuna domanda specifica” riguardante le condizioni dei bambini che avvertivano malesseri e, certamente, la pluralità dei soggetti indisposti, la giovane età, l’essere ospitati in Italia in assenza dei genitori e senza conoscere la lingua, dovevano imporre al medico di recarsi presso l’albergo per constatare di persona la presenza di patologie anche temporanee, a carico dei giovani pazienti. Il dott. (Omissis)., invece, ha valutato, insindacabilmente, che i malesseri di nausea e vomito “non costituivano un’emergenza di natura oggettiva” sostenendo che l’interlocutore aveva tenuto “un tono inutilmente suggestionato ed allarmato”.
RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Brescia, con sentenza in data 06/06/2016, confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Bergamo in data 13/04/2016 nei confronti di G. M. che era stato condannato alla pena di mesi quattro di reclusione per il reato di cui all’art. 328 cod. pen. perché in qualità di medico addetto al servizio di continuità assistenziale presso la ASL di (Omissis) , indebitamente rifiutava atti del suo ufficio che per ragioni di igiene e sanità dovevano essere compiuti senza ritardo. Il sanitario non era intervenuto presso l’Hotel (Omissis) (Bergamo) dove era stato chiamato con urgenza dall’albergatore, poiché sei ragazzi di circa dieci anni di nazionalità inglese in vacanza presso il detto hotel, avevano accusato malesseri fisici come vomito ed attacchi di dissenteria. Già il giudice di primo grado aveva configurato come reato il comportamento omissivo del dott. G., perché durante la notte tra il 19 ed il 20 febbraio 2015 il dottore, di turno alla guardia medica, si era intrattenuto al telefono per circa quindici minuti con l’albergatore ponendo numerose domande, talvolta vanamente ripetute, esprimendo commenti, senza accogliere l’invito dell’albergatore a recarsi urgentemente presso l’hotel per visitare i bambini che manifestavano nausea e vomito, al pari di due professori che li accompagnavano. L’imputato aveva opposto un profilo di discrezionalità tecnica nel formulare le domande per avviare una diagnosi, e stabilire se la sua presenza in albergo poteva essere indispensabile. Tuttavia, l’albergatore, spazientito, si era poi rivolto al servizio di emergenza del 118 che era intervenuto tempestivamente. L’intervento succedaneo del servizio del 118 evidenziava “la plateale violazione degli obblighi cui era tenuto il medico di turno”. La Corte di appello aveva sottolineato che la durata della conversazione si era protratta per 13 minuti e 26 secondi e l’imputato, aveva inizialmente opposto un netto rifiuto, ritenendo di non dovere effettuare la visita domiciliare per il solo vomito dei pazienti. In concreto, non avrebbe rivolto alcuna domanda specifica per indagare e approfondire le condizioni dei giovanissimi pazienti, tanto che l’albergatore, preso atto della inconcludenza della conversazione, interrompeva la chiamata e si rivolgeva al servizio del 118. La difesa del medico ha sostenuto che, successivamente, l’imputato si sarebbe recato presso l’hotel (Omissis) per valutare di persona lo stato di salute dei bambini, constatando che era già intervenuto il 118 e, pertanto, sarebbe andato via; tuttavia, rileva la Corte che la circostanza è rimasta del tutto priva di prova. Osserva il giudice di appello, che quand’anche non vi fosse stato pericolo di vita, ciò non esclude la sussistenza dell’obbligo di eseguire la visita richiesta, considerata la preoccupante situazione che era stata esposta dal titolare dell’albergo: si trattava di otto pazienti di cui sei bambini che continuavano a vomitare e che si trovavano in un albergo piuttosto lontano dal più vicino Pronto Soccorso e per i quali non sarebbe stata sicuramente sufficiente una diagnosi per telefono, richiedendosi la visita anche per escludere il pericolo di una rapida epidemia all’interno della comitiva. Venivano negate altresì le circostanze attenuanti generiche ed anche la richiesta di conversione della pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria poiché le condizioni economiche dell’imputato inducevano a ritenere che la sola pena pecuniaria avrebbe avuto scarsa efficacia afflittiva ed anche tenuto conto della gravità del fatto, trattandosi di delitto contro la pubblica amministrazione commesso da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle funzioni e in danno di “persone appartenenti a fascia debole”. 2. Ricorre per cassazione G. M. per il tramite del proprio difensore di fiducia deducendo i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.: 1) manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione per travisamento del fatto con riguardo al contenuto della conversazione telefonica tra l’albergatore e l’imputato. La difesa ricorda che è in atti la trascrizione della telefonata ricevuta alle ore 00.50 del 20/02/2015 dal dott. M. G., medico di turno notturno di continuità assistenziale presso la postazione di (Omissis). E mentre la Corte di appello ha valutato che tale conversazione dimostrava il sostanziale rifiuto del sanitario a recarsi nella località dell’albergo per fornire l’assistenza medica richiesta, la difesa ritiene che la motivazione della Corte di appello sia manifestamente illogica, poichè i giudici di merito non hanno tenuto conto che, a tenore della telefonata intercorsa, il dottore G. avrebbe più volte espresso la disponibilità ad eseguire la visita. Il travisamento della prova è dato dalla circostanza che in 13 minuti e 26 secondo di conversazione la Corte di merito ha ritenuto realizzarsi il “sostanziale rifiuto del sanitario” mentre, secondo la difesa, si sarebbe trattato di un tempo necessario per acquisire informazione onde determinarsi sul contegno da assumere. Quanto alla circostanza riferita dall’imputato che comunque lo stesso si era recato presso l’albergo ed era tornato indietro avendo visto che era intervenuto il servizio del 118, essa risulterebbe dalla verbalizzazione effettuata il 20/02/2015 dallo stesso dott. G. sul registro della postazione di continuità assistenziale di (Omissis) che costituisce, secondo la difesa, documento di carattere medico-legale. L’annotazione nel registro è stata compiuta di pugno del dottore ed è l’unico elemento addotto dall’imputato per dimostrare che si era recato nel luogo. 2) inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 328 cod. pen., vizio di motivazione sulla ritenuta natura indebita del diniego. La Corte non avrebbe affrontato un punto cruciale e risolutivo della vicenda processuale costituito “dall’apprezzamento sulla obbligatorietà e indifferibilità dell’atto che si impone al pubblico ufficiale ove questi disponga di uno spazio di discrezionalità scientifica per valutare l’opportunità o la necessità di compiere l’atto di ufficio”. La Corte non avrebbe valutato gli elementi probatori riguardanti gli elementi costitutivi del reato: la preoccupante situazione era stata prospettata dall’albergatore, ma il dott. G. aveva valutato il “tono inutilmente allarmato, l’enfasi delle espressioni e l’atteggiamento suggestionato dell’interlocutore”. Il dott. G. aveva valutato che i malesseri di nausea e vomito non costituivano un’emergenza di natura oggettiva e la situazione lasciava al medico “margini di valutazione discrezionale circa la necessità di un intervento immediato tale da escludere la ricorrenza dell’atto dovuto”. Sussiste invero il reato di omissione di atti di ufficio solo quando sia comprovato che l’urgenza prospettata dal paziente era effettiva e reale, rimanendo al sanitario uno spazio di discrezionalità tecnica allo stesso attribuito. 3) nullità della sentenza per omessa pronuncia o insussistenza di motivazione in ordine alla configurabilità dell’elemento psicologico del delitto. Affinchè possa ritenersi integrata la fattispecie dell’art. 328 deve essere accertata tanto la consapevolezza dell’impellente necessità del compimento dell’atto, quanto il volontario, indebito rifiuto di attivarsi da parte dell’agente. L’autore del fatto deve rappresentarsi e volere la realizzazione di un evento “contra ius”. Il ricorrente a sua giustificazione adduce di avere valutato che la situazione come riferito dall’albergatore non fosse grave ed urgente tale da imporre il suo tempestivo e improcrastinabile intervento in loco. I giudici di appello non hanno svolto un’analisi approfondita degli elementi costitutivi del reato. 4) mancata applicazione dell’art. 131 bis cod. pen. Si tratta di un motivo già proposto innanzi il giudice di primo grado e del pari respinto in appello. Il ricorrente deduce l’insussistenza di una situazione di emergenza, l’assenza di un pregiudizio irreparabile per i pazienti, tanto che anche il successivo controllo del 118 aveva evidenziato semplici disturbi gastrointestinali, l’esigenza di non lasciare il posto di servizio scoperto, il successivo (asserito) sopralluogo presso l’hotel da cui però l’imputato si sarebbe allontanato avendo constatato la presenza di operatori sanitari del 118, l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato non essendo ravvisabile in capo al dott. G. la consapevolezza e volontà di rifiutare indebitamente un atto del suo ufficio; 5) mancanza di motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche e della richiesta di conversione della pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria, poiché non sono stati addotti elementi da cui desumere il percorso logico che ha condotto al rigetto di entrambe le richieste sopra formulate. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. La sentenza impugnata risulta del tutto immune dai vizi denunciati dal ricorrente ed i motivi proposti devono essere riconosciuti palesemente infondati o indeducibili in questa sede. 2. Quanto al primo motivo, alla stregua della ricostruzione fattuale della vicenda, operata dai giudici di merito, come sopra sintetizzata, correttamente sono stati ravvisati nella condotta del prevenuto gli estremi integrativi del reato di cui all’art. 328 comma 1 cod. pen., il quale punisce, tra l’altro, il rifiuto di un atto dovuto per ragioni di sanità, allorché questo debba essere compiuto senza ritardo. È rimasto storicamente accertato che l’imputato, medico di turno di notte presso la postazione di (Omissis) richiesto dall’albergatore C. A. di intervenire presso il proprio albergo, non ebbe a recarsi all’hotel (Omissis) (BG) per visitare otto soggetti, ivi ospitati, di cui sei bambini stranieri, che accusavano malesseri. Non risultano elementi di riscontro dell’attestazione, dal sanitario redatta, secondo cui lo stesso aveva annotato di avere deciso comunque di recarsi all’albergo per valutare lo stato di salute dei pazienti. Al suo arrivo alle ore 2.05, avendo preso atto della presenza di ambulanze ed auto medica, sarebbe tornato indietro; tuttavia non risulta che alcuno lo abbia incontrato o che l’imputato si sia fatto vedere per comprovare la sua presenza presso l’albergo dal quale era stato chiamato. Le deduzioni sviluppate nel primo motivo si risolvono in una ricostruzione alternativa dei fatti che entra inammissibilmente nel merito delle valutazioni discrezionali della Corte di appello, convergenti con quelle del Giudice di primo grado, e sviluppate, senza incorrere in fallace logiche, sulla base di massime di esperienza plausibili e pertinenti al caso in esame. 3. Nella specie, l’obbligo del G. di effettuare la visita domiciliare richiestagli, trova la sua fonte normativa nel d.P.R. n. 41 del 1991, il quale, all’art. 13, dispone che il medico che effettua il servizio di guardia deve rimanere a disposizione “per effettuare gli interventi domiciliari a livello territoriale che gli saranno richiesti” e, durante il turno di guardia, “è tenuto ad effettuare al più presto tutti gli interventi che gli siano richiesti direttamente dagli utenti”. Orbene, è vero che, in linea di principio, non può negarsi al sanitario il compito di valutare, sulla base della sintomatologia riferitagli, la necessità o meno di visitare il paziente. È anche vero, tuttavia, che una tale discrezionalità può essere sindacata dal giudice, alla luce degli elementi acquisiti agli atti e sottoposti al suo esame, onde accertare se la valutazione del sanitario sia stata correttamente effettuata, oppure se la stessa costituisca un mero pretesto per giustificare l’inadempimento dei propri doveri (Sez. 6, n.12143 del 11/02/2009, Rv. 242922-01; Sez. 6, n. 20056 del 07/04/2008, Rv. 240070-01). Secondo la giurisprudenza di legittimità, integra il delitto di rifiuto di atti d’ufficio la condotta del sanitario in servizio di guardia medica che non aderisca alla richiesta di intervento domiciliare urgente nella persuasione a priori della “enfatizzazione” dei sintomi denunciati dal paziente, posto che l’esercizio del potere-dovere di valutare la necessità della visita sulla base della sintomatologia esposta, sicuramente spettante al professionista, è comunque sindacabile da parte del giudice al fine di accertare se esso non trasmodi nell’assunzione di deliberazioni ingiustificate ed arbitrarie, scollegate dai basilari elementi di ragionevolezza desumibili dal contesto storico del singolo episodio e dai protocolli sanitari applicabili (Sez. 6, n. 23817 del 30/10/2012, Rv. 255715-01). Il primo motivo è dunque privo di qualsivoglia fondamento giuridico e va dichiarato inammissibile. 4. Con riguardo al secondo motivo, la Corte di Appello, nel disattendere le argomentazioni difensive volte a sostenere la legittimità della scelta dell’imputato di non effettuare la visita domiciliare richiestagli, ha ritenuto che durante la lunga telefonata protrattasi per oltre tredici minuti, il medico di turno “non aveva formulato alcuna domanda specifica” riguardante le condizioni dei bambini che avvertivano malesseri e, certamente, la pluralità dei soggetti indisposti, la giovane età, l’essere ospitati in Italia in assenza dei genitori e senza conoscere la lingua, dovevano imporre al medico di recarsi presso l’albergo per constatare di persona la presenza di patologie anche temporanee, a carico dei giovani pazienti. Il dott. G., invece, ha valutato, insindacabilmente, che i malesseri di nausea e vomito “non costituivano un’emergenza di natura oggettiva” sostenendo che l’interlocutore aveva tenuto “un tono inutilmente suggestionato ed allarmato”. Si tratta ancora una volta di una ricostruzione alternativa in fatto, proposta dal ricorrente, già respinta dai giudici di merito, in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale sopra riportato e, come tale, inammissibile. 5. Con il terzo motivo si deduce l’assenza dell’elemento psicologico del reato di cui all’art. 328 cod. pen. sul presupposto che il ricorrente abbia agito in buona fede e nella convinzione dell’inesistenza di ragioni di urgenza che gli imponessero di effettuare una visita all’albergo dei soggetti in stato di malessere. Con pieno fondamento, ambedue le decisioni di merito hanno individuato nel singolare modo di procedere del sanitario, le condizioni integrative della contestata fattispecie di rifiuto di un doveroso atto di ufficio. Soluzione, per altro, perfettamente in linea con la giurisprudenza di questa Corte regolatrice in casistiche affatto omologhe a quella in esame. La fattispecie integra un reato di pericolo che si perfeziona ogni volta in cui sia denegato un atto non ritardabile e dovuto in rapporto alla specifica qualità del pubblico ufficiale agente (ex plurimis: Sez. 6, n. 34471 del 15.5.2007 Rv. 237795; Sez. 6, n. 35324 del 28.5.2008, Rv. 241250). In tale ultima prospettiva le professioni di buona fede addotte dal ricorrente si mostrano, oltre che non dirimenti proprio rispetto alla natura di reato di pericolo della fattispecie ascrittagli, implausibili sul piano della ricostruzione dell’elemento soggettivo del reato, avuto riguardo all’insuperabile dato probatorio riveniente nel tempestivo intervento del servizio del 118 (nella stessa situazione sottoposta al medico di turno) e fipl tentativo di rabberciare un supposto postumo sopralluogo non documentato (se non con una personale autocertificazione di intervento di fatto non effettuato). È invero singolare e contraddittoria la ricostruzione del profilo psicologico offerta dal medico: da un lato ritiene che non esistono le ragioni di urgenza per intervenire, dall’altro con un ripensamento successivo, si sarebbe diretto all’albergo per constatare che altri al posto suo erano sopraggiunti con maggiore tempestività, senza personalmente sincerarsi della situazione che gli era stata descritta (ritenuta dall’imputato particolarmente “enfatizzata”), evitando accuratamente di farsi vedere: si tratta di elementi, già messi in luce dai giudici di merito, che escludono integralmente la addotta buona fede del ricorrente. Anche questo motivo non trova fondamento nella realtà processuale descritta nelle pronunce di merito. 6. Con il quarto motivo si insiste nella richiesta di applicazione dell’art. 131 bis cod. pen.. Rimane tuttavia generico il motivo di impugnazione a fronte della mancanza di elementi di segno positivo da valorizzare di fronte alla gravità del fatto desunto dall’entità del pericolo, mostrando i giudici di merito di avere valutato, in termini di offensività, le concrete modalità della condotta e la esposizione a pericolo che essa ha comportato, che, per consentire la meritevolezza della esclusione dalla punibilità, deve connotarsi come di particolare tenuità, rispetto al bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice (nella specie, reato contro la pubblica amministrazione). 7. Con il quinto motivo si censura la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche ed il mancato accoglimento della richiesta di conversione della pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria. Anche con riferimento alla considerazione delle “condizioni economiche dell’imputato che avrebbero scarsa efficacia afflittiva e che la sola pena pecuniaria sarebbe certamente inadeguata alla gravità del fatto”, la difesa non contrappone validi elementi da prendere in considerazione per un giudizio diverso. Giova, sul tema, ricordare la pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (Sez. U, n. 24476 del 22/04/2010, Rv. 247274); in tale pronuncia, la Corte ha chiaramente affermato che la ratio delle pene sostitutive ha natura premiale e che il giudice, nell’esercitare il suo potere discrezionale di sostituire le pene detentive brevi con le pene pecuniarie corrispondenti, con la semidetenzione o con la libertà controllata, deve tenere conto dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen., tra i quali è compreso quello delle “condizioni di vita individuale, familiare e sociale dell’imputato”. A tale principio si è attenuto il giudice dell’impugnazione così soddisfacendo l’onere di motivazione impostogli. L’ultimo motivo si appalesa dunque aspecifico. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art.616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo determinare in 2.000,00 euro).