E' reato di abbandono non sorvegliare il paziente a rischio di fuga
Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 35814 del 2015.
lunedì 16 novembre 2015

È ravvisabile il reato di abbandono di persone minori o incapaci (articolo 591 del Cp ) a carico del medico psichiatra responsabile del reparto ove sia stato ricoverato un paziente psichiatrico a rischio di fuga, in ragione di varie patologie e di precedenti tentativi di fuga, inconsapevole della propria malattia e incapace di provvedere a sé stesso, che non disponga per opportune forme di sorveglianza per evitare che il paziente - come in effetti verificatosi - si allontani dalla struttura. Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 35814 del 2015.
Il caso specifico e la protezione dei pazienti
Il corpo senza vita di un paziente ricoverato in un reparto di psichiatria è stato trovato nella campagna circostante la struttura sanitaria solo cinque anni dopo la scomparsa. Da qui è nata la vicenda giudiziaria che poi ha dato origine alla decisione della Suprema corte.
A seguito della legge n. 180 del 1978, il personale medico e infermieristico ha il dovere giuridico di protezione e sorveglianza della persona affidata, specie se questa non sia in grado di prestare alcuna valida collaborazione e non possa badare a sé stessa: l'abbandono per legge del modello di cura manicomiale con l'uso sistematico della coercizione e dell'isolamento interno ed esterno del paziente, sostituito da forme di custodia in strutture aperte, richiede pur sempre modalità diverse di protezione e sorveglianza, funzionali a contemperare il rispetto della libertà e dignità individuale e la protezione della persona da atti auto o eterolesivi, della cui verificazione, in conseguenza dello stato di abbandono, rilevante per la configurabilità del reato di cui all'articolo 591 del Cp , deve rispondere chi sia tenuto alla custodia e non vi abbia provveduto.
Il caso specifico e la protezione dei pazienti
Il trattamento sanitario obbligatorio
Il trattamento sanitario obbligatorio, con il ricovero coatto e la conseguente l'interdizione a uscire dal luogo di cura, sono da considerare soluzione estreme, legittime solo nelle ipotesi e alle condizioni tratteggiate nella legge 180/1978 (in particolare, l'articolo 2, in forza del quale il trattamento sanitario obbligatorio può prevedere che le cure vengano prestate in condizioni di degenza ospedaliera solo se esistano alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, se gli stessi non vengano accettati dall'infermo e se non vi siano le condizioni e le circostanze che consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extra ospedaliere; e, del resto, gli articoli 33 e 34 della legge 23 dicembre 1978 n. 833).
Al contrario, qualora non ricorrano specifiche e concrete condizioni di rischio o esigenze terapeutiche che impongano il ricovero coatto in luogo di degenza, la cura può e deve essere accompagnata da misure che favoriscano i contatti con l'ambiente esterno e la stessa libertà di movimento del paziente.
Il trattamento sanitario obbligatorio
Il potere-dovere di sorveglianza
Ciò che ovviamente non esclude la sussistenza di un generale potere-dovere di sorveglianza, a carico del sanitario e, più in generale, del personale che ha in cura il paziente, atto a prevenire atti autolesivi o eterolesivi del paziente, in presenza di specifiche condizioni, oggettivamente e soggettivamente apprezzabili, idonee a fondare in tal senso un rischio prevedibile. E ciò, parimenti, non esclude, come esplicitato qui dalla Cassazione, un dovere di sorveglianza a carico di detti soggetti, per prevenire anche solo il rischio dell'allontanamento del paziente non autosufficiente dalla struttura sanitaria, in termini tali da esporlo a pericolo per la propria incolumità.
Il potere-dovere di sorveglianza
Il principio affermato
In questi termini, a conforto della rilevata posizione di garanzia, si è così affermato che il medico psichiatra è titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente, anche se questi non sia sottoposto a ricovero coatto, e ha, pertanto, l'obbligo - quando sussista il concreto rischio di condotte autolesive, anche suicidiarie - di apprestare specifiche cautele (sezione IV, 27 novembre 2008, Desana e altri, che, in applicazione del principio, la Corte ha confermato l'affermazione di responsabilità del primario e dei medici del reparto di psichiatria di un ospedale pubblico per omicidio colposo in danno di un paziente che, ricoveratosi volontariamente con divieto di uscita senza autorizzazione, si era allontanato dal reparto dichiarando all'infermiera di volersi recare a prendere un caffè al distributore automatico situato al piano superiore, e ivi giunto si era suicidato gettandosi da una finestra; si veda anche sezione IV, 12 febbraio 2013, parte civile Pivetta in proc. Novello e altri, che, pur ribadendo il principio, ha ritenuto congruamente motivata la sentenza liberatoria pronunciata in sede di merito, nel procedimento a carico dei medici e del dirigente del centro ove la paziente poi suicidatasi era ricoverata, laddove si erano esclusi profili di colpa sia con riferimento al profilo curativo che a quello della vigilanza).