Mmg, i carichi di lavoro esplodono ma lo stipendio non ne tiene conto

INtervista o Ovidio Brignoli, vice presidente SIMG

venerdì 10 maggio 2019

Doctor 33


Carichi di lavoro incrementati del 30%; giovani medici di famiglia già pentiti; anziani che non vedono l'ora di lasciare, e molti lettori a domandarsi: perché lo stipendio non tiene conto del superlavoro? E' anche questo il volto della medicina generale al tempo degli "esodi". Qualche lettore nei dibattiti aperti dagli articoli vorrebbe che almeno una parte dello stipendio fosse retribuita a prestazione, meccanismo che Sisac sta per abbandonare.

In trattativa si discute se e come retribuire a performance il medico, per i risultati ottenuti in un percorso. Una strada corretta? A rispondere è il vicepresidente SIMG Ovidio Brignoli, la cui regione, la Lombardia, sta impostando un meccanismo di pagamento a performance per i pazienti cronici. «Il pagamento a prestazione per un sistema sanitario è rischioso -esordisce Brignoli- ci siamo passati con le mutue prima del 1978 e si prestava a distorsioni: un medico poco etico avrebbe potuto incrementare gli introiti moltiplicando le visite sulla stessa persona. Né c'era modo di stabilire se e quanto il suo intervento incidesse sulla salute del paziente».

 Ora però assistiamo all'aumento dei carichi di lavoro. «E' legato all'invecchiamento? Sì e no. In realtà, l'impatto dei numeri delle cronicità si potrebbe contenere. La platea degli assistiti è formata: da sani che in studio vengono poco (e su cui si dovrebbero impostare azioni di prevenzione); da persone che vanno dal medico per problemi di acuzie o urgenze burocratiche; e infine dai cronici-frequent attender pari al 35% della popolazione, di cui però il 4,5% è in carico a team di cure domiciliari o di cure palliative. I carichi di lavoro imprevisti, anche in termini di tempo, in realtà sono limitati al secondo gruppo; posto che entro certi limiti il carico di un'epidemia come l'influenza è predicibile,

il problema è quantificare la burocrazia non differibile ed organizzare la risposta, magari affidandola alla parte amministrativo o, nella medicina di gruppo, a un collega a rotazione. Spesso è arduo distinguere gli aspetti di salute da quelli burocratici, ma proprio per questo una quota di lavoro va organizzata fuori dal tempo "clinico" del Mmg». 

E' invece del tutto prevedibile, per Brignoli, il carico delle cronicità. «E' vero, con l'invecchiamento aumenta la popolazione cronica, ma la maggior parte di essa è seguita sia dal medico di famiglia sia dallo specialista, si reca più volte da entrambi, le prestazioni spesso si sovrappongono. E soprattutto va per prescrizioni di farmaci che si accavallano moltiplicando accessi non necessari.

Qui entrano in gioco i percorsi come quelli del piano cronicità, nei quali a un tavolo si stabilisce come programmare gli accessi affinché ne derivino benefici per tutti. Dei 12 mila accessi annui nel mio studio, 8 mila sono oggi legati alle cronicità e al momento sono in parte incontenibili, posso fare educazione sul paziente ma serve un quadro normativo. La Regione Lombardia ha incrementato a 15 euro la remunerazione di ogni Piano assistenziale individuale, ma finché non avrà a disposizione indicatori di processo rilevati sui pazienti, ad esempio l'aderenza alle terapie, alla remunerazione dello sforzo del medico (la "prestazione", appunto) difficilmente seguiranno benefici. Nemmeno per il medico stesso, che da un processo di razionalizzazione dei percorsi invece potrebbe ottenere meno accessi dai frequent attender e meno stress al momento di affrontare l'impatto di nuovi cronici tra gli assistiti».

Appare dunque corretto lo sforzo dei sindacati di far finanziare alle regioni l'organizzazione dello studio e la spesa per personale in grado di alleggerire il medico di parte del lavoro. Però molti lettori si chiedono perché legare la quota variabile al risultato quando a variare, anche tra un medico e l'altro, è il numero di interventi clinici e burocratici. «La voce "governo clinico" - dice Brignoli- identifica percorsi volti a migliorare la qualità delle cure e la salute del paziente, misurati da indicatori di processo e di risultato. Il sistema, poniamo, misura quanto un paziente diabetico aderisca alle terapie e, immaginando sulla base della letteratura ogni miglioramento come legato a una maggior aderenza, premia il medico per la costanza del paziente nel consumo di pillole; poi lega una quota della retribuzione al risultato, ad esempio al rientro nei parametri di emoglobina glicata. E' un percorso più sostenibile che pagarmi per prestazione e senza tetti; ed è coerente con le necessità degli attori del sistema che il grosso degli aumenti in quota variabile sia legato a esiti di processo e di risultato».

Mauro Miserendino