Il personale sanitario danneggiato da vaccinazione Covid sarà risarcito dallo Stato: ecco come
La misura prevede uno stanziamento di 50 milioni di euro per l’anno 2022 e 100 milioni di euro a decorrere dall’anno 2023
venerdì 21 gennaio 2022
Ai danneggiati da vaccinazione contro il Covid spetterà un risarcimento dallo Stato. La misura è contenuta nel Decreto sostegni all'esame del Consiglio dei Ministri. La misura prevede in particolare uno stanziamento di 50 milioni di euro per l’anno 2022 e 100 milioni di euro a decorrere dall’anno 2023, per indennizzare anche "coloro che abbiano riportato lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, a causa della vaccinazione anti Sars-CoV2 raccomandata dall’autorità sanitaria italiana". Sarà un decreto di Ministero della Salute e Mef a stabilire le modalità di monitoraggio annuale delle richieste di accesso agli indennizzi e dei relativi esiti.
La vaccinazione Anticovid-19, obbligatoria per gli esercenti le professioni sanitarie (Decreto-legge n. 44/2021, articolo 4) e per tutta la popolazione over 50, rientra a pieno titolo nell’art. 1 della L. 25/02/1992, n. 210, in base al quale "chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, ha diritto ad un indennizzo da parte dello Stato, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla presente legge”. In base alla citata norma, e secondo le regole della tutela indennitaria, il danneggiato dovrà provare di aver subito lesioni o infermità di tale intensità da aver causato una menomazione permanente dell’integrità psico-fisica (sono dunque irrilevanti eventuali febbri passeggere, o modesti disturbi transitori), e che il danno subito è conseguenza della vaccinazione
L’indennizzo, si legge su Altalex, da vaccinazione obbligatoria ha copertura costituzionale, trattandosi di “misura di sostegno economico, fondato sulla solidarietà collettiva garantita ai cittadini, alla stregua dei citati art. 2 e 38 Cost., a fronte di eventi generanti una situazione di bisogno (sentenza n. 342 del 2006, punto 3 del Considerato in diritto), misura che trova fondamento nella insufficienza dei controlli sanitari predisposti nel settore (sentenza n. 28 del 2009).”Corte cost. 293/2011. Il diritto all’indennizzo ha natura di diritto soggettivo tutelabile davanti al giudice ordinario (T.A.R. Lazio Roma Sez. III quater, 28/10/2021, n. 11060).
Procedura per l’indennizzo
Dal 2001 la competenza per la procedura di indennizzo è stata trasferita dal Ministero della Salute alle Regioni (D.lgs. 31 marzo 1998 e D.p.c.m. 26 maggio 2000), con la sola eccezione della Sicilia.
La domanda di indennizzo è presentata dall’interessato alla ASL di residenza, la quale svolge l’istruttoria, verificando la completezza della documentazione allegata e il possesso dei requisiti previsti dalla legge. Al termine della fase istruttoria, l’Azienda sanitaria invia il fascicolo alla Commissione medica ospedaliera (CMO) competente, che deve convocare a visita l’interessato. È compito della CMO accertare l’esistenza del nesso causale tra l’infermità ed il vaccino, qualificare il grado di infermità e la tempestività di presentazione della domanda.
Il verbale della CMO è notificato al richiedente, che ha 30 giorni di tempo dalla notifica per presentare eventuale ricorso contro la decisione al Ministero della Salute.
Importo dell’indennizzo
L’importo dell’indennizzo, è calcolato sulla base della tabella B allegata alla L. 177/1976 (come modificata dall’art. 8 L. 111/1984) rivalutabile annualmente e da una somma pari all’indennità integrativa speciale (L. 324/59 e D.P.R. n. 834 del 1981), anch’essa per la giurisprudenza soggetta a rivalutazione. L’assegno di indennità è reversibile per 15 anni. I danneggiati da vaccinazione obbligatoria possono presentare ulteriore domanda per ottenere un assegno una tantum, pari al 30% dell’indennizzo dovuto per il periodo ricompreso tra il manifestarsi dell’evento dannoso e l’ottenimento dell’indennizzo.
In caso di successivo aggravamento dell’infermità già riconosciuta, l’interessato ha 6 mesi di tempo dalla conoscenza dell’evento per presentare all’Azienda sanitaria la domanda di revisione dell’indennizzo (art. 6 L. 210/1992) Se invece emerge l’esistenza di un’ulteriore patologia direttamente connessa alla vaccinazione, è possibile ottenere un indennizzo aggiuntivo per “doppia patologia”, di importo pari al 50% di quello previsto per la categoria corrispondente alla patologia più grave (art. 1 comma 7 L. 238/1997)
Se poi il danneggiato muore in conseguenza delle patologie per le quali è stato riconosciuto l’indennizzo, gli aventi diritto (coniuge, figli, genitori, fratelli) potranno presentare all’Azienda sanitaria di residenza del defunto, una domanda per ricevere un assegno una tantum, in unica soluzione o reversibile in 15 anni dell’importo di Euro 77.48, 53
Indennizzo aggiuntivo
La L. 29 ottobre 2005, n. 229 (disposizioni in materia di indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie) riconosce ai titolari di indennizzo per danno da vaccinazione obbligatoria, un ulteriore indennizzo, consistente in un assegno mensile vitalizio di importo pari:
- a sei volte la somma percepita dal danneggiato per le categorie dalla prima alla quarta della tabella "A" annessa al testo unico in materia di pensioni di guerra (D.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915), e successive modificazioni,
- a cinque volte per le categorie quinta e sesta,
- a quattro volte per le categorie settima e ottava. Infatti, al testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra di cui sono annesse diverse tabelle, tra le quali la tabella “A" relativa alle lesioni e le infermità che danno diritto a pensione vitalizia o ad assegno temporaneo.
La domanda in questo caso va presentata al Ministero della Salute (e non alla Regione) competente per l’istruttoria, che redigerà una graduatoria sulla base del criterio cronologico di presentazione delle istanze, dei parametri della gravità dell'infermità o delle difficoltà economiche dei richiedenti e dei loro nuclei familiari (D.M. 21/10/2009, n. 9). Il decreto di liquidazione in caso di accoglimento della domanda, viene comunicato direttamente all’interessato.
Vaccinazione raccomandata
Ferma la piena applicazione della L. 210/1992 a tutti i casi nei quali il vaccino Anticovid 19 è stato reso obbligatorio per legge, resta da comprendere che succederà dei danni che dovessero eventualmente colpire le categorie attualmente non obbligate. La giurisprudenza della Corte Costituzionale ha avuto modo di pronunciarsi più volte sull’argomento delle vaccinazioni raccomandate (C. Cost. n. 268/2017), e di recente, in pieno periodo pandemico, lo ha fatto con la sentenza 23 giugno 2020, n. 118 (Presidente Marta Cartabia), riporta Altalex
Per la Corte di legittimità, non c’è differenza qualitativa tra obbligo e raccomandazione, il cui comune obiettivo è quello di assicurare la più ampia immunizzazione, essendo “del tutto irrilevante, o indifferente, che l'effetto cooperativo sia riconducibile, dal lato attivo, a un obbligo o, piuttosto, a una persuasione o anche, dal lato passivo, all'intento di evitare una sanzione o, piuttosto, di aderire a un invito" (sentenza n. 107 del 2012). Anche se “la raccomandazione” appare sempre preferibile sul piano politico “per la sua spinta “gentile”, (che) accompagna e favorisce lo sviluppo dell’autodeterminazione, benché anche questa spinta incida anch’essa in profondità sul processo formativo del volere nel consenso informato, senza la costrizione e l’extrema ratio dell’obbligo, aumenta la fiducia dei cittadini nella scienza e nell’intervento pubblico” (Cons. St. n. 7045/2021).
Le vaccinazioni raccomandate, sono caratterizzate dalla presenza di diffuse e reiterate campagne di comunicazione a favore dei trattamenti vaccinali, idonee ad ingenerare un affidamento della popolazione nei confronti di quanto viene consigliato dalle autorità sanitarie, fatto questo che rende la scelta individuale di vaccinarsi come votata alla salvaguardia non di un interesse personale ma dell’interesse collettivo della comunità. E poiché il singolo ha aderito alla vaccinazione in ragione delle esigenze di solidarietà sociale, lo Stato deve farsi carico delle eventuali conseguenze negative della sua integrità psico-fisica; sarebbe ingiusto invece consentire che fossero i singoli danneggiati a sopportare il costo di un beneficio anche collettivo (v. anche sentenza n. 107 del 2012).
La Corte enumera poi gli atti che caratterizzano la vaccinazione “raccomandata”:
- insistite e ampie campagne anche straordinarie di informazione e raccomandazione da parte delle autorità sanitarie pubbliche nelle loro massime istanze;
- spinte gentili o c.d. nudge attraverso un sistema di incentivi e disincentivi;
- distribuzione di materiale informativo specifico;
- informazioni contenute sul sito istituzionale del Ministero della salute;
- decreti e circolari ministeriali;
- piani nazionali di prevenzione vaccinale.
La Corte, ritenuto quindi che la funzione dell’indennizzo è quella di completare il “patto di solidarietà” tra individuo e collettività in tema di salute, e che sia necessaria la “traslazione in capo alla collettività, favorita dalle scelte individuali, degli effetti dannosi” che conseguano al vaccino, ha stabilito che la mancata previsione del diritto all’indennizzo in caso di patologie irreversibili derivanti da determinate vaccinazioni raccomandate si risolve in una lesione degli art. 2, 3 e 32 della Costituzione.
E tuttavia, la giurisprudenza costituzionale ha avuto modo di chiarire anche che il Giudice, interpellato per la richiesta di indennizzo per i danni derivanti da una nuova vaccinazione solamente raccomandata, non può automaticamente estendere l’ambito applicativo della L. 210/1992 al nuovo vaccino, ma deve chiedere una pronuncia di incostituzionalità della medesima legge alla Corte Costituzionale (C. Cost. n. 268/2017).
Il ricorso alla Corte Costituzionale potrebbe essere facilmente arginato, se il legislatore prevedesse l’estensione del ristoro a favore di chi, pur non essendo obbligato, si sottoponga alla vaccinazione anti-Covid19 , e ne riporti poi un pregiudizio.
Responsabilità della casa farmaceutica
All’indennizzo può essere aggiunto anche il risarcimento dei danni, nel caso in cui l’infermità subita dall’interessato sia imputabile al fatto colposo altrui. Un caso può essere quello della responsabilità della casa farmaceutica, quando ad esempio il lotto vaccinale dal quale è stata estratta la fiala somministrata, sia risultato difettoso.
Sono generalmente due i rimedi esperibili a tutela del danneggiato.
1. Azione di responsabilità per esercizio di attività pericolose
Il primo rimedio contro la casa farmaceutica è previsto all’art. 2050 CC., “responsabilità per l’esercizio di attività pericolose”, nelle quali la giurisprudenza fa rientrare anche l’attività di vendita e somministrazione di vaccini e medicinali da parte delle aziende di farmaci
La responsabilità ex art. 2050 c.c alleggerisce il danneggiato dell’onere della prova, dando luogo, secondo la prevalente interpretazione, ad una responsabilità oggettiva.
La prova del danno e del nesso causale deve essere fornita dal danneggiato, mentre la casa farmaceutica può liberarsi dalla responsabilità solamente dimostrando di “avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno”, (ad esempio provando che il lotto dal quale è stato tratto il vaccino somministrato è stato sottoposto al controllo pubblico secondo le previsioni della L. n. 178 del 1991, art. 20, comma 5 e che gli esami effettuati dall'Istituto superiore della Sanità (sui campioni e sulla documentazione forniti dalla ditta) hanno dato esito favorevole (C. Cass. 2875/2015).
Più recentemente la Cassazione ha escluso la responsabilità della casa farmaceutica che fornisca la prova di avere osservato, prima della produzione e immissione sul mercato del farmaco, i protocolli di sperimentazione previsti dalla legge, e di avere fornito un'adeguata informazione circa i possibili effetti indesiderati dello stesso, aggiornandola - se necessario - in relazione all'evoluzione della ricerca (Cass. 6587/2019).
Con riguardo alla prova liberatoria dell’adeguata informazione, la Cassazione ha precisato anche che non basta una qualunque informativa, ma “è necessario che l'impresa farmaceutica svolga una costante opera di monitoraggio e di adeguamento delle informazioni commerciali e terapeutiche, allo stato di avanzamento della ricerca, al fine di eliminare o almeno ridurre il rischio di effetti collaterali dannosi e di rendere edotti nella maniera più completa ed esaustiva possibile i potenziali consumatori” (Cass. 6587/2019).
2. Azione di responsabilità del produttore per prodotti difettosi
Il secondo rimedio contro l’azienda farmaceutica è previsto dal D.P. R. n. 244/1988. Si tratta di norme di derivazione comunitaria, a tutela del consumatore, che sanciscono la responsabilità extracontrattuale del produttore per il danno cagionato dal prodotto difettoso. L’art. 4 prevede che Il danneggiato fornisca la prova del danno, del difetto del prodotto e della connessione causale tra difetto e danno La prova del difetto (art. 117) comporta la dimostrazione che il prodotto non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenendo conto di tutte le circostanze tra cui:
a) il modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, la sua presentazione, le sue caratteristiche palesi, le istruzioni e le avvertenze fornite;
b) l’uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato e i comportamenti che, in relazione ad esso, si possono ragionevolmente prevedere;
c) il tempo in cui il prodotto è stato messo in circolazione”.
Assumono particolare importanza ai fini della prova del “difetto” le norme tecniche armonizzate che fissano gli standard di sicurezza e le caratteristiche che determinati prodotti devono possedere per essere immessi in commercio.
In relazione ai farmaci, la prova del difetto diventa particolarmente difficile, dal momento che l’autorizzazione in commercio (AIC) è consentita proprio dopo una valutazione sui documenti relativi alle prove farmaceutiche, pre-cliniche ed alle sperimentazioni che dimostrino il rapporto rapporto favorevole tra rischi e benefici del farmaco.
Responsabilità del Ministero della Salute
Altro profilo che interessa il danno da vaccino è quello relativo alla responsabilità del Ministero della salute. La giurisprudenza ha escluso in questo caso l’applicabilità dell’art. 2050 c.c. (con la relativa attenuazione dell’onere probatorio del danneggiato), ed ha inquadrato la responsabilità del Ministero nell’art. 2043 c.c.
In particolare, perchè si configuri un risarcimento, in aggiunta all’indennizzo già dovuto per legge in caso di vaccinazione obbligatoria, è necessario fornire la prova che:
- all’epoca della somministrazione del vaccino era conosciuta o conoscibile - secondo le migliori cognizioni scientifiche disponibili - la pericolosità dello stesso
- alla stregua di tali conoscenze, il rispetto del fondamentale principio di precauzione avrebbe imposto di vietare tale tipo di vaccinazione, o di consentirla con rigorose modalità tali da minimizzare i rischi ad essa.
Fu il caso ad esempio del vaccino Sabin, contro la poliomielite, del quale era conosciuta la “pericolosità” perché contenente virus attenutati che dimostravano di riattivarsi durante il transito intestinale, provocando la malattia infettiva paralitica. All’epoca era già noto in ambito internazionale un altro vaccino (Salk) che era invece inattivo. Per questa ragione la Corte di Cassazione (Cass. civ., Sez. III, Sent., data ud. 04/02/2011 - 27/04/2011, n. 9406) ha condannato il Ministero della Salute, ritenendolo responsabile di non aver vietato quel tipo di vaccinazione, o comunque di non averla consentito con modalità idonee a limitarne i rischi. La responsabilità, si legge su Altalex, fu riconosciuta dalla Cassazione proprio per il fatto che il Ministero avesse consapevolmente seguito una strada che non era obbligata, perchè all’epoca era già esistente l’alternativa di un vaccino inattivo