«Il decreto specializzandi è una soluzione tampone. No al task shifting»

Intervista a Filippo Anelli (Sanita' informazione)

martedì 03 maggio 2022

Sanita' Informazione  (vedi il video)

«È una soluzione tampone che garantisce il rispetto dei diritti fondamentali degli specializzandi che lavorano all’interno dei nostri ospedali. Ma non può essere una strategia definitiva». È così che Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (FNOMCeO) commenta la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto Mur-Salute, che prevede l’accordo quadro per lo svolgimento della formazione e per l’assunzione a tempo determinato degli specializzandi in medicina, veterinaria, odontoiatria, farmacia, biologia, chimica, fisica e psicologia a partire dal terzo anno.

Verso la fine dell’imbuto formativo
«Grazie al ministro della Salute, Roberto Speranza, sono circa 30 mila le borse di specializzazione in medicina finanziate dal Governo negli ultimi due anni. Un numero che mette la parola fine all’epoca dell’imbuto formativo. Ma, affinché i risultati di queste scelte possano essere tangibili, ci vorranno almeno altri 4-5 anni – dice Anelli -. E, allora, per tamponare alla carenza di personale durante questo lasso di tempo, credo si possa fare un grande patto con i giovani medici specializzandi. A loro chiederemo di darci una mano, lavorando negli ospedali in ragione delle competenze che fino a quel momento avranno acquisito, ma in cambio dovremmo essere in grado di garantire quei diritti che sono fondamentali per qualsiasi lavoratore. Devono poter contare su un salario ed un orario di lavoro adeguati, ferie, malattie, maternità. Diritti che ora, grazie a questo decreto, potranno essere tutelati».

Gli specializzandi non sono studenti, ma medici
Ma alla fine di questi 4 anni, quando l’imbuto formativo sarà solo un vecchio ricordo, sarà necessario rivedere l’intero asseto dell’iter formativo. «Chiediamo una ristrutturazione della formazione specialistica, affinché possa essere esercitata all’interno degli ospedali dove gli specializzandi potranno assumere, mano man che acquisiranno nuove competenze, responsabilità crescenti. Questo cambiamento – spiega il presidente della FNOMCeO – rispecchierebbe anche le esigenze dei giovani specializzandi: chiedono che la loro formazione sia affidata al Ministero della Salute e non più a quello dell’Università. Non vogliono essere considerati studenti, ma medici che si formano attraverso un contratto di formazione-lavoro».

Una professione ancora attraente
Ma una volta terminato il percorso formativo, saranno ancora tante le difficoltà che i neospecialisti si troveranno ad affrontare. Recenti indagini mostrano che i medici italiani hanno in media 50 giorni di ferie non godute, le ore di lavoro settimanali superano di gran lunga quanto previsto dalle normative e gli stipendi sono tra i più bassi d’Europa. «Le difficoltà con cui si scontrano i medici ogni giorno – commenta Anelli – sono senza dubbio numerose. Ma quella medica è una professione che attrae ancora molto proprie per le sue caratteristiche intrinseche, per il suo valore etico e la sua missione sociale».

Task shifting: conseguenza di tagli indiscriminati
I disagi che oggi si sperimentano sono la conseguenza di scelte sbagliate fatte in passato, dai tagli alla Sanità al blocco del turn over. «Una politica di risparmio che ha originato l’inaccettabile fenomeno del task shifting. C’è chi ha creduto di poter risparmiare sulla salute dei cittadini, affidando prestazioni mediche a personale non medico. Ma una soluzione di questo tipo può essere adottata solo nei Paesi del terzo mondo o nei teatri di guerra dove, non avendo medici, si delegano prestazioni mediche ad altri professionisti, insegnandogli a provvedere a tutte le cure urgenti e necessarie. Diversamente – sottolinea Anelli -, il task shifting diventa solo uno strumento che compromette e fa regredire la qualità dei servizi sanitari».

La comunicazione medico-paziente è tempo di cura
Dalle medesime scelte sbagliate deriverebbe anche l’aumento delle aggressioni ai danni del personale medico e sanitario e dei contenziosi medico-legali. «Oggi pare che questa professione sia insegnata principalmente per risolvere le malattie. Invece, il medico dovrebbe risolvere innanzitutto i problemi del malato: il rapporto con il suo paziente, la singolarità del caso e dell’individuo sono essenziali. Il tempo della comunicazione fra il medico e paziente è definito per legge (legge 219 del 2017) tempo di cura. La professione diventa tanto più umana quando più è in grado di riconoscere le peculiari caratteristiche di ogni paziente. Questa – conclude Anelli – è la vera umanizzazione delle cure che dona dignità alla persona e risolve, di conseguenza, anche il problema delle aggressioni».