Nuova sentenza sulla prescrizione terapeutica del medico di base

Rifiuto di prescrivere i farmaci da parte del Medico di Medicina Generale può integrare il reato di rifiuto di atti di ufficio.

martedì 30 gennaio 2018

Doctorsite

La sentenza della Cassazione Penale n. 35233/2017 affronta il problema della doverosità e della indifferibilità della prescrizione terapeutica richiesta al medico di medicina generale, in un caso relativo ad una terapia oncologica in corso, che non poteva subire interruzioni, terapia già prescritta dal medico specialista che seguiva il paziente.

Le circostanze di fatto illustrate nella sentenza hanno valutato una situazione di urgenza sostanziale, impositiva del compimento dell’atto prescrittivo, in modo tale che l’inerzia del pubblico ufficiale assume la valenza del consapevole rifiuto dell’atto medesimo, in presenza di una situazione di indifferibilità dell’atto richiesto, rapportata alla sussistenza di un effettivo pericolo di conseguenze dannose alla salute della persona, indifferibilità che va correlata al potere demandato al sanitario di decidere sulla necessità della terapia, ma che non integra una valutazione discrezionale del medico e che si è risolta in un indebito comportamento omissivo giustificato dall’imputato sulla base di generici richiami, rivelatisi del tutto infondati, al rispetto dell’orario di visita e alla copertura farmacologica delle precedenti prescrizioni rispetto alle necessità della paziente di non interrompere la terapia in corso.

La Corte di Appello di Lecce, in riforma del locale Tribunale, ha condannato un medico di medicina generale, con le circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi sette di reclusione per il reato di cui all’art. 328, comma 1 del codice penale (Rifiuto di atti d’ufficio: “Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.).

La Corte di appello ha ritenuto accertato che in più occasioni il medico di base della denunciante aveva indebitamente rifiutato di prescrivere i farmaci dei quali la stessa, che aveva subito un intervento chirurgico di neoplasia mammaria, aveva bisogno; che in occasione dei fatti occorsi il 18 maggio, aveva anche tentato di spingerla fuori dallo studio tanto che la vicina di casa aveva sentito chiaramente la denunciante dire “tu le mani addosso a me non le metti”.

La Corte territoriale ha disatteso la contraria versione dell’imputato secondo la quale la paziente si recava in studio ad orario di visita ormai terminato, sul rilievo che, in entrambe le circostanze, la persona offesa si trovava certamente nell’ambulatorio medico il ché rende del tutto logico presumere che essa vi avesse acceduto in orario di apertura al pubblico non essendo verosimile che l’accesso all’ambulatorio fosse possibile anche in orario di chiusura, tanto più che l’imputato aveva, a suo dire, l’abitazione nei medesimi locali.

Ne consegue la manifesta infondatezza della prospettazione difensiva del medico, secondo la quale la condotta violenta tenuta, sospingendo fuori dallo studio la paziente, sia da ritenere finalizzata a far cessare la violazione di domicilio che la paziente stava ponendo in essere nei suoi confronti, poiché lo studio del medico di base, anche se privato, è destinato a un pubblico servizio negli orari di apertura al pubblico e, pertanto, legittimamente la paziente vi si tratteneva in attesa di essere ricevuta dal medico e per ragioni sanitarie.

La giurisprudenza di legittimità ha più volte chiarito che il reato di rifiuto di atti di ufficio è un reato di pericolo; pertanto ricorre la violazione ogni qualvolta venga negato un atto non ritardabile, prescindendosi dal concreto esito dell’omissione.

A prescindere dalla richiesta il rifiuto penalmente rilevante si verifica anche quando sussista un’urgenza sostanziale, in modo tale che l’inerzia del pubblico ufficiale assuma la valenza di rifiuto dell’atto medesimo.

Il Collegio dei Giudici della Cassazione ritiene che i colleghi di Appello hanno correttamente esaminato e valutato le emergenze processuali pervenendo alla conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato con puntuale e adeguato apparato argomentativo che si sottrae a censure nel giudizio di legittimità.

Nella ricostruzione della sentenza impugnata, assume rilevo, ai fini della sussistenza del reato, non già la doverosità della prescrizione richiesta al medico di base, in ragione dell’orario di apertura al pubblico dell’ambulatorio e della circostanza che la ricusazione della paziente avrebbe avuto effetto solo a partire dal sedicesimo giorno della comunicazione, eseguita il precedente 17 maggio 2010, bensì la valutazione della doverosità e della indifferibilità della prescrizione terapeutica richiesta all’imputato, perché relativa ad una terapia oncologica in corso, che non poteva subire interruzioni, necessaria per la cura della grave patologia dalla quale la persona offesa era affetta. Le circostanze illustrate nella sentenza impugnata connotano, pertanto, una situazione di urgenza sostanziale, impositiva del compimento dell’atto, in modo tale che l’inerzia del pubblico ufficiale assume la valenza del consapevole rifiuto dell’atto medesimo, in presenza di una situazione di indifferibilità dell’atto richiesto, rapportata alla sussistenza di un effettivo pericolo di conseguenze dannose alla salute della persona, indifferibilità che va correlata al potere demandato al sanitario di decidere sulla necessità della terapia, ma che non integra una valutazione discrezionale del medico e che si è risolta in un indebito comportamento omissivo giustificato dall’imputato sulla base di generici richiami, rivelatisi del tutto infondati, al rispetto dell’orario di visita e alla copertura farmacologica delle precedenti prescrizioni rispetto alle necessità della paziente di non interrompere la terapia in corso.