Rapporto Gimbe: Il Ssn non regge l'invecchiamento

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martedì 11 giugno 2019

Doctor 33

Una trasfusione da 50 miliardi. Di qui al 2025 servirebbe al servizio sanitario per non collassare di fronte all'invecchiamento della popolazione. È il messaggio del 4° Rapporto Nazionale della Fondazione Gimbe, che dedica spazio all'analisi degli sprechi e a soluzioni per cambiare qualcosa nel finanziamento del Ssn. Quattro cavalieri dell'apocalisse oggi falcidiano la sanità, la più grande opera pubblica italiana: uno stato che finanzia sempre meno, è giunto al 6,6% del Pil e sotto il 6,5% -dice l'Ocse- non si va avanti; erogatori di cure che sprecano; italiani che spendono male per curarsi e non tutelano abbastanza il loro diritto alla salute; assicurazioni che prosperano sulle richieste inappropriate e sulle inefficienze pubbliche. Nei prossimi 8 anni, è la stima a invarianza di popolazione, l'invecchiamento generale porterebbe l'Italia a dover spendere per ogni residente non più i 2561 euro del 2017 ma 3800. Un fabbisogno da 230 miliardi, ma i trend della spesa sanitaria storica ci porteranno sì e no, più probabilmente no, a 180 miliardi di fondo sanitario. Come fare? Possibili risposte sono verso la fine del rapporto. Ma intanto un'anticipazione pessimistica: le regioni reggono meno del previsto alla verifica delle prestazioni offerte. Il Ministero della Salute al posto della griglia Lea quest'inverno ha provato ad applicare il Nuovo sistema di garanzia, e la verifica su 21 indicatori ricordata da Gimbe non è andata bene. Se delle 21 tra regioni e province autonome soddisfacevano la griglia Lea in 16, qui si salvano solo in 9, dal Garda alle Marmore, con assistenza territoriale che fa acqua nella nuova "periferia" del paese.
Del resto il Fondo sanitario tra il 2010 e il 2019 ha perso 37 miliardi. L'investimento complessivo da 8,5 miliardi entro il 2021 promesso dal governo in Finanziaria è sospeso alle richieste di Bruxelles all'Italia e alla firma del Patto salute. Sprechi e mancata percezione del disastro imminente da parte di italiani "mai scesi in piazza per rivendicare la tutela della sanità pubblica" sono tra loro temi connessi. Nel 2017 a una spesa sanitaria pubblica di 113,13 miliardi se n'è affiancata una privata da 41,79 miliardi, di cui 36 di tasca propria delle famiglie e circa 5,8 mediati da fondi sanitari (3,96 miliardi) altri enti mutualistici (1,17 miliardi) e da assicurazioni private (0,7 miliardi). Ebbene: il 50% dei quasi 6 miliardi speso da mutue ed assicurazioni è per prestazioni non tese a migliorare salute e qualità di vita, e così il 40% delle risorse spese direttamente dalle famiglie, e il 19% delle prestazioni Ssn. Sui dati 2017, la tassonomia Gimbe -che si rifà alle percentuali di spreco e di erogazione di prestazioni inappropriate indicate dall'Ocse nel rapporto Tackling Wasteful Spending Health con un range di oscillazione del 20% in su o in giù ma misura anche l'impatto del non-uso di servizi essenziali - scopre che su complessivi 21,6 miliardi buttati via, 6,5 sarebbero per prestazioni inappropriate, 4,75 per frodi ed abusi, 2,16 per acquisti a costi eccessivi, 3,24 da sottoutilizzo di prestazioni efficaci/appropriate, 2,37 per inefficienze amministrative, 2,6 per inadeguato coordinamento dell'assistenza. Si parla poi in dettaglio di spesa sociale di interesse sanitario: Inps e altre istituzioni pubbliche concorrono per 35,99 miliardi dei 41,89 miliardi totali spesi nel nostro paese per questi servizi, al resto, circa 9 miliardi, pensano le famiglie.
La Fondazione presieduta da Nino Cartabellotta propone misure di salvataggio note, tra cui rafforzamento della capacità dello stato di controllo e indirizzo sulle regioni, revisione del sistema di detrazioni e deduzioni delle spese sanitarie (3,86 miliardi in tutto più altri 3,36 di contributi sui Fondi sanitari integrativi), destinazione alla ricerca sanitaria e clinica dell'1% del fabbisogno sanitario nazionale. Ma ci sono novità: si insiste sulla revisione delle modalità di erogazione della spesa sociale di interesse sanitario per pervenire ad un "fabbisogno sociosanitario nazionale". Cartabellotta invita pure a definire «sia una soglia minima del rapporto spesa sanitaria-Pil, sia un incremento percentuale annuo del fabbisogno sanitario nazionale pari almeno al doppio dell'inflazione». Né sarebbe tabù, nelle attuali condizioni, reperire risorse disinvestendo da sussidi individuali offerti gli ultimi anni, senza grosso riscontro degli elettori: bonus 80 euro, circa 10 miliardi annui; reddito di cittadinanza pari in media a 8 miliardi l'anno e quota 100 pari ad altri 8 miliardi l'anno. Recita il comunicato Gimbe: «Il rilancio del Ssn richiede la convergenza di tutte le forze politiche e un programma di azioni coraggiose e coerenti».

Mauro Miserendino