Ventimila malati, solo 150 posti è il calvario dei senza speranza
La Regione non è attualmente in grado di assistere tutti i pazienti terminali presenti sul suo territorio
mercoledì 12 ottobre 2016

REPUBBLICA BARI: ANTONELLO CASSANO Non uno ma ventimila Alcibiade. Il caso del pensionato barese, malato oncologico in condizioni terminali, morto solo in un letto di pronto soccorso al Policlinico di Bari, non è isolato. Alcibiade Parise, la cui storia è stata raccontata in una lettera della moglie pubblicata da Repubblica nei giorni scorsi, avrebbe meritato delle cure domiciliari adeguate alle sue condizioni. Il problema però è tutto qui, visto che la Regione non è attualmente in grado di assistere tutti i pazienti terminali presenti sul suo territorio. Le cure palliative e la terapia del dolore sono una scoperta piuttosto recente per la sanità pugliese. Solo l'anno scorso la Regione ha pubblicato una delibera per realizzare una rete delle strutture che devono erogare queste cure recependo le indicazioni stabilite da una legge nazionale, la numero 38 del 2010. Una rete che prevede la presenza di strutture residenziali (hospice), cure domiciliari adeguate e unità operative negli ospedali. Peccato che questo sistema sia esistente più sulla carta che sul territorio. Eppure, la gente da curare non manca. Non a caso proprio in quella delibera regionale si definisce il fabbisogno: si scopre così che in Puglia ci sono 20mila persone nelle stesse condizioni di Alcibiade, l 3mila delle quali sono affette da malattie neoplastiche. Gran parte di questi pazienti terminali non vengono seguiti adeguatamente, migliaia di loro muoiono in ospedale oppure abbandonati nelle loro abitazioni. Tutto il contrario di quanto previsto dalle leggi nazionali e regionali. Un motivo c'è, basta leggere l'ultima relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 38 del 2010. In quel dossier, pubblicato lo scorso anno, emerge che, a fronte di quell'enorme fabbisogno, la Puglia può contare solo su IO hospice che hanno una capacità di 150 posti letto. Si tratta del numero maggiore fra le regioni meridionali, ma distante dalle realtà del centro-nord (22 hospice e 238 posti letto in Emilia Romagna o i 60 hospice per 736 posti letto in Lombardia).Uno di questi hospice si trova a Monopoli ed è un caso di efficienza, visto che può contare su una struttura residenziale con 8 posti letto, assistenza domiciliare che copre 12 Comuni circostanti oltre che day hospice e ambulatorio. «Gran parte della nostra assistenza si svolge a domicilio - conferma Pietro Dormio, responsabile dell'unità operativa di cure palliative al San Giacomo di Monopoli - e nell'arco dell'anno seguiamo 630 pazienti. Peccato che la nostra sia un'eccezione, visto che gran parte degli hospice pugliesi fanno solo attività residenziale». La criticità pugliese è tutta qui, cioè nel numero di pazienti assistiti al proprio domicilio. Secondo la relazione ministeriale, in Puglia nel 2014 sono stati assistiti 2647 pazienti (2207 dei quali in stato di terminalità oncologica). Regioni simili per numero di residenti come Emilia e Toscana ci doppiano (4914 in Emilia e 5551 in Toscana). Luca Moroni, presidente nazionale della Federazione cure palliative, è convinto che così il sistema non funziona: «Gli ultimi dati ministeriali - commenta - evidenziano uno scollamento progressivo e crescente tra le diverse regioni. In alcune di queste, penso a Lombardia o Emilia, si lavora già alla presa in carico precoce dei malati terminali, in altre invece si procede con maggiore difficoltà. Così le cure palliative e le terapie del dolore sono benefici ristretti a una parte minoritaria della popolazione». E allora a reggere la baracca ci pensano le onlus: è il caso delle fondazioni Ant (Assistenza nazionale tumori), Amo Puglia, Santi Medici, per citarne alcune. Non a caso molte Asi hanno convenzioni con queste associazioni per garantire l'assistenza domiciliare sul territorio. Ma non bastano a coprire le esigenze di questi pazienti fragili: «C'è una grossissima fetta di malati che non accedono alle cure palliative - denuncia Alessandra Provenzano, responsabile della sezione barese dell'Ant che nel 2015 ha gestito 3600 pazienti- a causa dei percorsi di accesso molto burocratizzati e della scarsa cultura fra i professionisti sull'esistenza di queste cure. Non è un caso se la situazione a Bari sia a macchia di leopardo: queste cure sono garantite solo in alcuni Comuni dell' Asl. Situazione non dissimile dal resto della regione. E se è vero che la legge 38 garantisce un diritto a tutti i cittadini, ciò significa che questa legge non viene rispettata».