Canone Rai in bolletta in bilico: bocciato dal Consiglio di Stato

A due mesi dal primo addebito, tutto ritorna in alto mare

venerdì 15 aprile 2016

La Legge per tutti

“Questo canone in bolletta non s’ha da fare”: a dirlo sono i giudici del Consiglio di Stato che hanno appena emesso una sonora bocciatura nei confronti del decreto ministeriale sulle nuove regole relative al canone Rai contenute nella legge di Stabilità 2016. Il parere del Consiglio di Stato era necessario per l’approvazione del decreto attuativo della riforma, decreto che il Ministero dello Sviluppo Economico doveva emettere entro il 14 febbraio ma che è in clamoroso ritardo, proprio a comprova delle difficoltà (e degli imbarazzi) che si registrano a Palazzo.
 
Mancano poco più di due mesi al giorno in cui vedremo il primo (consistente) addebito di 40 euro sulla bolletta della luce, a titolo di “ratei” del canone Rai ed ancora tutto è in alto mare. Anzi, oggi le cose si complicano ancora di più perché, a quanto pare, ci sarà da rivedere più di un aspetto. E ora, dati i ritardi dell’operazione, diventa azzardato ipotizzare che a luglio tutti ricevano le prime rate nella bolletta elettrica.
 
I giudici di Palazzo Spada chiedono documentazione supplementare per poter rendere il loro parere. Senza il via libera del Consiglio di stato non sarà possibile pubblicare in Gazzetta Ufficiale il decreto e avviare quindi tutti gli adempimenti collegati per arrivare con la prima tranche del versamento nella bolletta elettrica dal 1° luglio.
 
Aveva già destato un primo sospetto il fatto che il termine per l’invio dell’autocertificazione, inizialmente programmato al 30 aprile per le raccomandate e al 10 maggio per le modalità telematiche verrà spostato (secondo quanto dichiarato) al 15 maggio. C’è poi l’imbarazzante storia dell’indirizzo a cui inviare l’autocertificazione: dopo solo quattro giorni da quando l’Agenzia delle Entrate aveva fornito la prima indicazione è intervenuta una correzione (il fisco lo ha chiamato “aggiornamento”, ma la sostanza è la stessa). Insomma, l’indirizzo a cui dovremo spedire le autodichiarazioni di non possesso del televisore, per mezzo del servizio postale, è: Agenzia delle entrate, ufficio di Torino 1, Sat – sportello abbonamenti tv – casella postale 22 – 10121 Torino.
 
Ma passiamo ad analizzare tutte le critiche sollevate dal Consiglio di Stato.
 
Cosa si intende con Televisione?

Il Consiglio di Stato mette già a nudo le prime criticità sul decreto relativo al Canone Rai. La prima, tra queste, è il fatto che non venga ancora offerta una definizione univoca di “apparecchio televisivo”. È vero, le istruzioni dell’Agenzia delle Entrate (scaricabili qui, pagina 3, nota 2) e la legge sul canone del 1938 [1] parlano di apparecchio atto o adattabile alla ricezione delle radioaudizioni, ma la definizione non è così chiara, specie con l’arrivo di nuovi device sul mercato, dal carattere piuttosto borderline. Ad esempio: molti smartphone e tablet riescono a captare le onde radio-video. Ed ancora, la legge parla di “radio-audizioni”, ma tutti sanno che la presenza in casa di una radio o altro impianto stereo non comporta il pagamento del canone (almeno per le abitazioni residenziali). Ed è certo che un computer non debba neanche scontare l’imposta sulla tv, sebbene ormai molti apparecchi riescano a captare le onde radio fm più comuni. Proprio il discorso sui Pc e tablet, ha creato, in passato, parecchi equivoci (si ricorderanno le lettere della Rai con cui inizialmente chiedeva il pagamento), questione poi risolta in favore dell’esenzione: ma questa interpretazione non ha mai trovato una precisa previsione in una norma di legge.
Una cosa è certa, e questo lo hanno capito tutti gli italiani: ad essere tassata non è né la ricezione delle reti RAI, né la scatola in sé, ma la presenza di un sintonizzatore capace di captare le onde radio e video. Per cui, se la televisione viene utilizzata solo per vedere dvd o come schermo del computer, si paga ugualmente il canone Rai; al contrario, se è utilizzata per trasmettere immagini proiettate da un dispositivo esterno (si pensi ai comuni monitor pubblicitari nelle vetrine dei negozi) non è tassata.
 
 
Quante volte bisogna pagare il canone Rai?

Seconda criticità: il decreto non specifica che il canone si versa una sola volta a prescindere dal numero di televisioni possedute in casa. Quindi chi ci assicura che un domani la Rai non ci chieda di pagare il canone anche per la casa al mare?
È dunque indispensabile chiarire che la famiglia deve versare la gabella un’unica volta, e soltanto se possiede un tv che riceve i programmi in modo diretto “oppure attraverso il decoder“. In questo modo, il decreto chiarirà una volta e per sempre che non si deve pagare niente quando si hanno uno “smartphone o un tablet” che pure riescono oggi a intercettare il segnale televisivo.
 
 
Lesione della privacy

La terza criticità è la lesione della privacy dei cittadini: per riscuotere una tassa da 100 euro vengono coinvolti una serie di enti: Anagrafe tributaria, Autorità per l’energia elettrica, Acquirente unico, Ministero dell’interno, Comuni e società private. Eppure il decreto ministeriale non prevede neanche uno straccio di “disposizione regolamentare” che assicuri il rispetto delle normativa sulla riservatezza. Senza contare i costi dell’operazione per coordinare tutte queste banche dati. Costi che, peraltro, si aggiungono all’indennità che lo Stato deve pagare alle società elettriche per collaborare in questa raccolta di informazioni e di soldi (verrà loro versato un contributo di 14 milioni di euro, prelevati dalle tasche dei contribuenti).
 
 
Mancanza di chiarezza

Quarto aspetto critico del decreto è che non stabilisce una campagna di informazione per gli utenti che consenta loro di comprendere tutti i labirinti contorti e gli adempimenti che richiede la nuova gestione della riscossione (a fronte, invece, di un martellante pressing pubblicitario quando si tratta di chiedere invece i soldi). Si ricorderà, infatti, che inizialmente si era detto che a pagare sarebbe stato in automatico solo l’abitazione di residenza del nucleo familiare. Poi però, l’Agenzia delle Entrate ha cambiato impostazione, stabilendo che, nel caso di due contratti della luce intestati a due membri diversi della stessa famiglia, uno dei due dovrà inviare l’autocertificazione una volta all’anno. Il che aumenta di adempimenti i contribuenti, adempimenti che avrebbe dovuto porre in essere il fisco con l’incrocio delle banche dati. Ma tant’è: assistiamo alla solita politica dello scaricabarile che addossa sui cittadini i rischi per le inefficienze burocratiche.