Convenzioni incompatibili, il medico rischia di perderle e restituire stipendi

Secondo la Corte dei Conti il sanitario non può intrattenere più di un rapporto con la pubblica amministrazione

mercoledì 29 marzo 2017

DOCTOR 33

Un medico convenzionato che svolga un'attività incompatibile e menta ai due datori di lavoro non rischia soltanto la revoca dell'incarico o dei due incarichi, ma anche di restituire tutti gli emolumenti che gli sono stati versati nell'incarico che non avrebbe dovuto assumere. Questo, per via della condotta dolosa che rende nullo il contratto. Tanto si desume dalla sentenza 44 della Corte dei Conti dell'Emilia Romagna pronunciata a febbraio su un camice titolare da 30 anni di un rapporto di lavoro con il Comune di Bologna.

Il professionista da 9 anni lavorava a part-time di 18 ore settimanali per meglio svolgere la libera professione; ma nel 2009 ha assunto l'incarico di medico dell'emergenza territoriale all'Ausl Piacenza. Sono altre 38 ore settimanali nonché 140 chilometri andata e altrettanti ritorno, ma il camice pensa di potercela fare: all'assunzione come medico del 118 non dichiara all'Ausl l'altro incarico. Dopo 3 anni e mezzo, il Direttore Generale piacentino scopre e segnala l'anomalia, e il medico si dimette senza preavviso dall'incarico di Bologna. Ma non evita la denuncia penale né che la Guardia di Finanza quantifichi in 26 mila euro la cifra indebitamente versata dal Comune di Bologna per ore in cui era stato assente. Viene poi contestato anche il danno erariale per le somme percepite a Piacenza. Ed è una stangata: euro 323 mila da restituire all'Ausl, tutti i compensi per 3 anni e mezzo di lavoro svolto. Il medico chiede gli sia erogata la sola sanzione disciplinare, la revoca della convenzione. La Corte dei Conti replica che per la legge 412 del 1991 il sanitario non può intrattenere più di un rapporto con la pubblica amministrazione; e qui si configurano addirittura due rapporti di dipendenza: assimilato a dipendenza è ad avviso della Corte il reddito da convenzione con ritenuta del 20%. Il professionista ha dichiarato a Piacenza nel modello di autocertificazione informativa predisposto dall'Ausl di non essere titolare di alcun rapporto di lavoro dipendente: una condizione che lo avrebbe posto nell'assoluta incompatibilità con l'incarico affidatogli. 

Non solo, ma -scrive la Corte - si è pure «astenuto, durante tutto lo svolgimento del rapporto convenzionale, sia dal rappresentare altrimenti la propria condizione di dipendente pubblico, sia dal far cessare la situazione di incompatibilità». L'articolo 17 comma 8 della convenzione di Medicina generale prevede che tale situazione debba essere cessata all'atto dell'assegnazione dell'ambito territoriale carente o dell'incarico vacante. Il professionista è in torto pure con il Comune di Bologna, cui non ha comunicato di aver assunto l'incarico a Piacenza, incarico che non avrebbe potuto assumere in quanto dipendente a tempo indeterminato. Insomma, è stata protratta nel tempo una condotta fraudolenta, con ingiusto profitto che ora il professionista deve restituire, senza che possa mitigare l'esborso il "bene" fatto come medico alla collettività, in pratica vanificato dalla condotta dolosa assunta.