Specializzazione in medicina di comunità e delle cure primarie, tra leggende e falsi miti

Il sospetto è che siamo di fronte ad un nuovo tentativo dell’Università di entrare in punta di piedi nel percorso formativo della MG

lunedì 09 febbraio 2015

Fimmg Notizie
di Saverio Cramarossa 

La marea di tweet dello scorso week-end con al centro le perplessità sull’istituzione della figura di  specialista in “Medicina di comunità e delle cure primarie” e l’ondata di polemiche suscitata da alcune dichiarazioni di rappresentanti di società scientifiche favorevoli all’integrazione con la formazione in Medicina Generale, si prestano ad una riflessione sul perché di tali reazioni e impongono di sfatare alcuni miti e false leggende sul corso di formazione specifica in medicina generale.

Le perplessità sorgono dal sospetto che siamo di fronte ad un nuovo tentativo dell’Università di entrare in punta di piedi nel percorso formativo della MG, facendosi scudo magari di alcuni teoremi che i detrattori dell’attuale organizzazione del corso e pro-specializzazione MG portano avanti da tempo.

Il primo di questi teoremi è che ci si debba affidare ad una specializzazione universitaria per rispondere agli standard europei e affinchè il diploma MG venga riconosciuto a livello europeo; ebbene, l’attestato di formazione specifica in medicina generale conseguito in Italia è spendibile in tutto il Vecchio Continente, esattamente come quello conseguito negli altri Paesi membri, come da direttiva europea.

Il secondo mito è quello di una attuale formazione MG non di qualità e non all’avanguardia che con l’intervento all’Università di colpo cambierebbe volto; ebbene siamo sicuri che il grado di soddisfazione dei nostri colleghi specializzandi sia a livello massimo in tutte le realtà? Siamo sicuri che sondando un po’ tra di loro non ne esca l’immagine di una formazione da migliorare anche nelle discipline specialistiche? Si potrà controbattere: dunque va tutto bene? La risposta è no, il percorso formativo in MG è sicuramente migliorabile, infatti nella penultima bozza del Patto della Salute erano presenti quelle che in primis Fimmg aveva individuato per il corsista come valorizzanti la sua figura negli ambulatori MG e come migliorative a livello economico: le attività professionalizzanti remunerate, poi misteriosamente scomparse proprio in vista del traguardo nella versione finale del Patto.

Ed ancora: è plausibile l’idea di formare nelle aule universitarie un medico del territorio che sul territorio svolgerà tutta la sua vita professionale, che sul territorio si relazionerà ai suoi pazienti, che il territorio e non l’ospedale ha scelto per esercitare la sua passione?

E qual è inoltre il recondito motivo per cui un percorso blindato per il formato, dato dall’esclusività di accesso all’attività di MMG nel SSN per chi è in possesso dell’attestato MG, debba essere messo in pericolo dall’apertura a nuove figure professionali che di spinta vocazionale avrebbero ben poco e che non si saranno formate nel campo e nelle strutture dove lavoreranno lungo tutta la propria carriera?

Alcune risposte sono semplici, altre un po’ meno, quello che da futuri MMG abbiamo il dovere fare per la nostra formazione è promuoverne una sua futura valorizzazione, proteggerla da attacchi ed infiltrazioni esterne di chi cerca di farne solo uno strumento per futuri sbocchi lavorativi senza averla davvero a cuore, difendere strenuamente il nostro percorso blindato di accesso alla professione.

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