Malati gravi senza indennità bufera sull'imbuto Asl-Inps

Il presidente dell'Ordine dei medici di Bari: ci si preoccupa più dei budget che dei pazienti.

sabato 21 gennaio 2017

La Gazzetta di Bari

 Il coperchio della disperazione si sbriciola. E la pentola delle sofferenze diffuse ribolle. È davvero lunga la lista di malati costretti a ricorrere ai giudici del Tribunale contro il mancato riconoscimento dell'invalidità o contro un accertamento ritenuto ingiusto. Sulle 14 commissioni d'invalidità attivate nei distretti della Asl piovono qualcosa come 50-60 mila richieste di invalidità all'anno. In ognuna delle tre commissioni di Bari si viaggia ad una media di cento visite a settimana per un totale di 15mila richieste all'anno. E dalle valutazioni dei medici escono frotte di pazienti scontenti, spesso mortificati neUa richiesta di un diritto sul quale la parola definitiva, comunque, la pronuncia l'Inps.

Il caso di Piero Boccuzzi, sindacalista deUa Cisl, 68 anni, deceduto mercoledì scorso dopo aver fatto i conti per 19 mesi con la sclerosi laterale amiotrofica, ha scatenato più di una reazione. Gambe come sottilette, braccia paralizzate, per nuUa autonomo in molte deUe attività primarie, Piero Boccuzzi, a giugno del 2015, in sede di prima valutazione della commissione Asl, era stato dichiarato invalido all'80%. Niente indennità di accompagnamento quindi, niente legge 104 che definisce benifici anche per i familiari. E nemmeno una «rivedibi-lità» che di lì a poco avrebbe quan- tomeno potuto aggiustare il verdetto. Ovvio il ricorso ai giudici, scontato l'esito favorevole del ricorso, ottenuto, dopo mesi di rinvìi e un calvario di attese, a fine dicembre 2016, e cioè qualche settimana prima dell'ultimo respiro. «Quando la giustizia arriva tardi è più crudele dell'ingiustizia», commenta Antonio Lacerenza, l'avvocato del sindacalista scomparso. Sicché prende voce sui social l'umanità ferita che si sente vit- tima dell'ingiustizia. Tommy Mangini: «Io ho passato l'inferno con mia madre, spero di morire in un solo colpo». Angela Wolf Catino: «Non mi stupisce....Anche mio padre deceduto... divenuto cieco assoluto... lAsl non gli riconosce nessuna indennità!!!!».

E via discorrendo. Un conto è accertare con manica rigida, altro conto è passare la palla avvelenata dall'altra parte del campo, e cioè nei corridoi ingolfati deUa Sezione lavoro del Tribunale. Filippo Anelli, presidente dell'Ordine dei medici di Bari, stringe il nodo: «Viene fuori un meccanismo economicistico per cui i medici subiscono pressioni per stare all'interno di un sistema e di un budget. I medici devono tornare liberi e non preoccuparsi se lo Stato abbia o meno i soldi per pagare le invalidità».

Domenico Lagravinese, direttore del Dipartimento prevenzione Asl, precisa due cose. La prima: per effetto di un accordo Regio-ne-Inps la chiusura della pratica d'invalidità spetta all'Inps. La seconda: la Asl insedia la commissione solo per la prima valutazione. Sicché è una commissione di medici Inps che o conferma il verbale Asl o lo modifica, convocando di nuovo il paziente. Ed è sempre l'Inps che decide sull'eventuale «rivedibilità» per abbassare o aumentare l'indice di invalidità. Il problema, spiega Michele Caradonna, presidente dell'An-mic Bari, l'associazione mutilati e invalidi civili, è proprio neU'«Inps che scoppia».

«Le liste d'attesa riferite alla prima domanda e all'aggravamento si sono notevolmente ridotte a 15-30 giorni. Le commissioni di prima istanza Asl devono chiamare a visita entro i tre mesi dalla presentazione della domanda, fa eccezione solo la categoria degli oncologici che devono essere chiamati entro i 15 giorni. La definizione totale della domanda di invalidità, ora di competenza deU'Inps, allunga la tempistica». E Lagravinese punta il dito su un altro aspetto: «Nella convenzione con la Regione, l'Inps si era impegnata a riportare con perio- dicità i dati correnti dei riconoscimenti: numero domande, numero casi accolti, andamenti no-sologici delle patologie invalidanti riconosciute.

Tutti elementi utili sia epidemiologicamente ed anche per i riflessi di organizzazione sanitaria regionale». Resta il fatto, nota ancora Caradonna, che «molti verbali vengono successivamente impugnati, attraverso il ricorso, perché non rendono giustizia delle reali condizioni della persona. Un'altissima percentuale dei ricorsi, viene vinta dai ricorrenti che nel frattempo vedono le proprie condizioni peggiorare». Ed ecco perché ribolle la pentola della vergogna dei diritti negati.