Epatiti sconosciute: l'adenovirus F41 è la causa più probabile
Scotti (Fimmg): Evitare allarmismo sulle epatiti a causa sconosciuta nei bambini. Anche perché si rischia di innescare un circolo vizioso di preoccupazioni e richieste di accertamenti
mercoledì 27 aprile 2022
Fonte Dott-Net
"L'adenovirus è l'agente patogeno più comune rilevato nel 75% dei casi confermati" di epatiti acute nei bimbi in Gran Bretagna e, in particolare, "il ceppo di adenovirus chiamato F41 sembra la causa più probabile". Lo sottolinea l'Agenzia per la sicurezza sanitaria del Regno Unito (UKHSA) in un report, che mantiene aperta l'ipotesi che questo virus possa essere all'origine delle rare epatiti dall'origine sconosciuta verificatisi in diversi paesi, inclusa l'Italia. Gli scienziati stanno studiando se c'è stato un cambiamento nella composizione genetica del virus che potrebbe innescare più facilmente l'infiammazione del fegato.
Nel report dell'agenzia, aggiornato al 25 aprile e diffuso dai media inglesi, si sottolinea che la maggior parte dei bambini che contraggono l'adenovirus non hanno sintomi particolarmente gravi. "Le informazioni raccolte attraverso le nostre indagini suggeriscono sempre più che questo aumento dell'insorgenza improvvisa dell'epatite nei bambini è legato all'infezione da adenovirus", ha dichiarato Meera Chand, direttrice delle infezioni cliniche ed emergenti presso l'Ukhsa. "Tuttavia, stiamo indagando a fondo su altre potenziali cause". Un'altra possibile spiegazione è che le misure di precauzione imposte nella pandemia potrebbero aver portato i bambini piccoli a essere esposti per la prima volta all'adenovirus in un momento successivo della loro vita rispetto a quando normalmente accade, portando a una risposta immunitaria più vigorosa, in alcuni, nei confronti dell'adenovirus.
Restano allo studio anche altre ipotesi, incluso il fatto che una recente infezione da Covid potrebbe essere un fattore scatenante per i problemi al fegato insieme all'adenovirus. Proprio l'Agenzia per la sicurezza sanitaria del Regno Unito era stata la prima, il 6 aprile scorso, a lanciare l'allarme, segnalando i primi 60 casi sospetti. Allarme subito recepito dai Centri Europei per il Controllo e la prevenzione delle malattie (Ecdc) e dall'Organizzazione mondiale della Sanità (Oms).
“L'Ue segue molto da vicino la situazione, che è preoccupante» e gli Stati dovrebbero «condividere tutte le informazioni possibili”. Così la Commissaria Ue alla salute Stella Kyriakides ha commentato i casi di epatiti pediatriche di origine ignota che si registrano in Europa. “Al 25 Aprile erano approssimativamente 40 casi negli Stati membri - ha proseguito la Commissaria - finora i casi si registrano tra bambini tra un mese e sedici anni di età, la probabile origine è virale, ma abbiamo bisogno di più informazioni, Ecdc pubblicherà domani una prima valutazione”. L'invito agli Stati è di condividere tutte le informazioni possibili.
«Evitare allarmismo sulle epatiti a causa sconosciuta nei bambini. Anche perché si rischia di innescare un circolo vizioso di preoccupazioni e richieste di accertamenti visto che i sintomi del post-Covid, con il senso di stanchezza, astenia e inappetenza, potrebbero far pensare a problemi epatici. Insomma passando da un allarme all'altro il rischio peggiore è incrociare i due ‘nemici’». A dirlo all'Adnkronos Salute, Silvestro Scotti, segretario generale della Federazione dei medici di medicina generale (Fimmg) che, in ogni caso, sottolinea come negli ambulatori «non si registrino, al momento, preoccupazioni particolari da parte dei pazienti. È pur vero che non abbiamo la platea dei pediatri ma dalle famiglie non percepiamo allarme». «Vista al momento l'incidenza relativamente bassa di queste epatiti - continua Scotti - è importante l'attenzione dei professionisti, che devono sorvegliare e avere le antenne tese. Ma creare eccesso di allarme nella popolazione potrebbe attivare le solite filiere più emotive che razionali. Ci sono molte situazioni post Covid, anche nei bambini, che potrebbero inutilmente allarmare la popolazione. Bene ha fatto il ministero della Salute a informare gli operatori e sollecitare quelli del territorio a essere sentinella. E offrendoci più strumenti per valutare i nostri pazienti, caso per caso, prima che sia il paziente stesso ad autovalutarsi. È sempre il medico il punto di riferimento», conclude Scotti, sottolineando come «sia i medici sia pazienti sono stanchi e stressati dalla continua emergenza. Siamo tutti sull'orlo di una crisi di nervi».