Decreto solidarietà: porte aperte a medici e operatori sanitari ucraini rifugiati in Italia
Anelli: «Aprire porte ai medici ucraini è atto che restituisce dignità umana e professionale»
giovedì 24 marzo 2022
«Un atto di solidarietà che restituisce dignità sia umana che professionale». Sono queste le parole che Filippo Anelli, presidente della Federazione degli Ordini dei medici (FNOMCeO), ha scelto per descrivere, a Sanità Informazione, il decreto “Misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina”. Da ieri, infatti, il Sistema sanitario nazionale ha aperto le porte a medici e operatori sanitari ucraini rifugiati in Italia, che potranno esercitare temporaneamente la professione fino al 4 marzo 2023.
Presidente Anelli, c’è chi teme che questo decreto possa trasformarsi in una scorciatoia per la stabilizzazione di medici stranieri nel Sistema Sanitario italiano. È d’accordo?
«No, non c’è alcun rischio di sanatorie. Il decreto è molto chiaro: ha la durata di circa un anno ed è applicabile solo ai colleghi ucraini in fuga dalla guerra. Inoltre, ancora non sappiamo quanti medici sono effettivamente arrivati in Italia e quanti ne arriveranno nei prossimi giorni. Molti colleghi hanno scelto di restare in Ucraina per curare i feriti e chiunque ne abbia bisogno».
L’arrivo di medici ucraini in Italia potrebbe essere una soluzione, anche se parziale, alla carenza di personale nel sistema sanitario pubblico italiano?
«No, si tratta di un provvedimento simbolico. In sostanza, credo che questo decreto offra la possibilità ai colleghi che stanno fuggendo dalla guerra di poter ritrovare, qui nel nostro Paese, la loro dignità non solo di medici, ma anche di essere umani. Esercitare la propria professione gli permetterà non solo di essere utili al prossimo, e quindi di mettere in pratica la missione propria di ogni medico, ma anche di guadagnarsi da vivere, provando a ricostruirsi una vita. Il problema della carenza di personale medico nel SSN è ben più grave e per essere risolto ha bisogno di interventi più importanti e strutturati».
Medici e infermieri ucraini potrebbero essere un valore aggiunto per il nostro SSN in questo delicato momento in cui molte strutture italiane stanno accogliendo pazienti provenienti dalle zone di guerra?
«Certamente. Non solo fungendo da mediatori nelle situazioni di emergenza o per la cura dei pazienti ricoverati presso i nostri ospedali, ma anche assicurando l’assistenza adeguata a tutti i rifugiati che soffrono di malattie croniche, le cui condizioni, in molti casi, si sono aggravate durante il viaggio di fuga».
Dall’Ucraina potrebbero essere arrivati o arrivare in futuro (non ci sono dati certi a riguardo) anche studenti di medicina e specializzandi. È auspicabile strutturare un programma di integrazione ad hoc?
«Certo, non è da escludere. Ma per mettere in piedi un progetto di questo tipo è necessario avere dei numeri certi, sapere quanti studenti dovremmo accogliere nelle nostre università e quanti specializzandi nei nostri reparti. Siamo ancora nel pieno dell’emergenza, non possiamo prevedere quanto durerà, né quanti rifugiati vorranno restare stabilmente in Italia e quanti preferiranno tornare in Ucraina. Solo quando il quadro della situazione sarà più chiaro, allora potremmo pensare all’organizzazione di tutto un sistema di integrazione tout court, che non riguarderà solo la sanità, ma anche tutti gli altri diritti fondamentali, come quello all’istruzione e, quindi, l’accesso a scuole, università e formazione specialistica».
Fonte: SANITÀ INFORMAZIONE
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