L'imbuto formativo che rischia di lasciarci senza medici

Il numero dei nuovi specialisti è limitato a causa della carenza di fondi per pagarli

domenica 02 dicembre 2018

Corriere della Sera (Margherita De Bac)

Questa storia comincia dalla fine. Da quando, cioè, un'azienda ospedaliera che potrebbe essere collocata indistintamente al Nord o al Sud (su questo non c'è differenza) bandisce un concorso per ortopedici o pediatri o per il Pronto soccorso. In una fase di disoccupazione generale del Paese ci si aspetterebbe la corsa al posto fisso. Invece succede esattamente il contrario. Candidati da contare sulla punta delle dita o addirittura bandi deserti. Andiamo a ritroso, alloraa, e cerchiamo di capire perché succede. Si scopre che per riempire gli spazi a corto di specialisti non esistono abbastanza medici. Soffrono in particolare certe figure. Ortopedici, chirurghi, medici dell'urgenza, ginecologi, aneste- sisti sono alcune delle discipline più in affanno. Il problema é che dalle scuole esce un numero insufficiente di rincalzi per sostituire i colleghi anziani che vanno in pensione, i giovani fuggono dalla sanità pubblica per lavorare nel privato oppure scelgono di andare all'estero dove gli stipendi sono più gratificanti e gli italiani molto apprezzati (sì, la preparazione viene considerata buona a livello internazionale), anche senza raccomandazioni. Le scuole di specializzazione hanno a disposizione un certo contingente di borse di studio e una parte degli aspiranti viene esclusa. Le borse di studio costano (lo stipendio di uno specializzando si aggira attorno a 1.700 euro mensili), lo Stato in un periodo di bilanci striminziti non può finanziarne più di tante e le Regioni non hanno la forza economica necessaria per intervenire sostenendo tutti i posti aggiuntivi. In altre parole: le facoltà di medicina sfornano laureati che poi non possono continuare la strada, intrappolati nel cosiddetto «imbuto formativo»: 1.100 borse di studio all'anno da spartire. Coperta corta. La categoria è in allarme e dovrebbero esserlo anche i pazienti. La forbice tra domanda e offerta si sta divaricando sempre più. Gli ultimi dati (di Fiaso, la Federazione dei dirigenti, e Anaao Asso-med, gli ospedalieri) mostrano una carenza che fra dieci anni ammonterà a circa 47.300 unità. I sindacati medici stimano che anche in caso di totale sblocco del turnover, rallentato nelle Regioni con piano di rientro dal deficit (ora sono sette), sarà arduo compensare nei prossimo quinquennio i dipendenti in uscita tra pensionati, prepensionati e fuggitivi. Non stanno meglio i medici di famiglia. Secondo i calcoli della federazione Fimmg, nel 2028 avranno lasciato l'ambulatorio oltre 33 mila dottori e i pazienti avranno difficoltà a trovare sostituti di riferimento. Dunque la criticità di fondo non sta nel numero di laureati ma nel post laurea. L'ipotesi di aprire l'iscrizione alle facoltà di medicina riformando il test di ingresso, o eliminandolo addirittura, non è una soluzione. In questo caso gli atenei dovrebbero sostenere l'assalto dei circa 77mila matricole l'anno, quanti sono i giovani che hanno affrontato nel 2018 la prova d'ingresso con la prospettiva di poco meno di ìomila posti disponibili. Non ci sarebbero aule e docenti per garantire una formazione di qualità. Per Cosmed, sindacato di medici e dirigenti della pubblica amministrazione, sarebbero 25mila i camici bianchi pronti ad andare in pensione con la nuova riforma «quota 100». In ìomila lavorano con contratti precari Dal ministero della Salute, il ministro Giulia Grillo e il sottosegretario Armando Bar- tolazzi hanno a più riprese affermato di considerare la penuria di medici «una priorità» e di voler affrontare la criticità in modo risolutivo col Miur, il ministero di Università e ricerca. La volontà di intervenire dovrebbe essere concretizzata nella legge finanziaria ora in discussione. Servono però azioni sistematiche che vadano oltre l'emergenza attuale, sulla base di una strategia a lungo raggio dove si tenga conto dei fabbisogni di personale medico. La Federazione nazionale degli ordini dei medici chi-rurghi e odontoiatri (Fnomceo) propone a governo e parlamento una serie di misure partendo dal fatto che «l'abolizione del numero programmato non farebbe altro che ingigantire l'imbuto formativo tra laurea e formazione post laurea. Oggi migliaia di giovani si trovano in un limbo di inoccupazione». Occorrerebbe, secondo il presidente Filippo Anelli, creare un percorso unico dall'ingresso in facoltà fino alla specializzazione o al diploma in medicina generale. Si chiede inoltre la «ristrutturazione del contenuto didattico del sesto amio di corso in senso abilitante», cioè per mettere già in condizione il neo medico di esercitare. La professione medica attraversa un brutto momento. Lo sciopero del 23 novembre scorso è stato proclamato per chiedere al governo di «inserire la sanità ai primi punti dell'agenda, ridare fiducia al personale sanitario e rilanciare il servizio pubblico». Tremila le borse di studio invocate dalla piazza. Da dieci anni il contratto dei medici dipendenti non viene rinnovato e non vengono individuate le risorse per il rinnovo dei contratti. Margherita De Bac