Responsabilità medica: cartella clinica incompleta, colpa presunta

Il Tribunale di Palermo ha sancito la responsabilità della Asl in ossequio al principio della "vicinanza della prova"

lunedì 07 agosto 2017

di Valeria Zeppilli (Studio Cataldi) – Quando la cartella clinica del paziente è incompleta, la prova delle lesioni e del nesso di causalità con la condotta del sanitario può essere data anche per presunzioni.

Con sentenza numero 63612/2017 del 5 luglio scorso, il Tribunale di Palermo ha fatto leva sul principio della "vicinanza della prova" per sancire la responsabilità di un'azienda sanitaria per i danni subiti da un neonato che aveva patito un'asfissia prenatale che non era stata riscontrata dai sanitari e dalla quale gli erano derivati, quindi, encefalopatia, epilessia e paralisi.
 
Cartella incompleta
La cartella clinica, peraltro, era stata redatta con approssimazione e si componeva di informazioni scarse che non consentivano l'acquisizione di elementi specifici con i quali documentare delle pregresse alterazioni o anomalie della partoriente, dei difetti genetici del feto o delle cause naturali del danno cerebrale.

La prova del danno
Tale circostanza, per il Tribunale, è stata ritenuta utile ai fini della prova del nesso causale tra l'omissione del sanitario e il danno, posto che tale prova può dirsi raggiunta se non vi è la certezza che il neonato abbia subito il danno cerebrale per cause naturali o genetiche e, "appaia più probabile che non che un tempestivo o diverso intervento da parte del medico avrebbe evitato il danno". Se così non fosse, la superficialità nella tenuta della cartella clinica rischierebbe di pregiudicare ulteriormente il paziente.

Il risarcimento
Raggiunta in tal modo, nel caso di specie, la prova del nesso causale, era quindi onere della struttura sanitaria quello di dimostrare l'esatta esecuzione della prestazione alla quale era tenuta. La consistenza della cartella clinica, però, non ha aiutato in tal senso.
 
La Asl. convenuta, in particolare, non è riuscita a provare né il regolare adempimento della prestazione sanitaria, né la corretta vigilanza, né lo svolgimento degli opportuni e doverosi controlli medici sulla madre.

Ora dovrà quindi risarcire il danno arrecato al bambino per un importo di oltre 1.915.000 euro, corrispondere al piccolo una rendita vitalizia di circa 1.300 euro mensili e risarcire ciascun genitore per 300 mila euro.