Case della salute, medici in fuga. Il modello è in declino: ecco i numeri

L'Emilia Romagna è la Regione che più ha scommesso sulle case della salute con una delibera del 2010

giovedì 11 gennaio 2018

Doctor 33

Un cartello a Podenzano, comune pochi chilometri a monte di Piacenza. Nella casa della salute aperta nel 2013, medici di famiglia e pediatri hanno cessato la loro attività il 31 dicembre 2017 e ora visitano i loro pazienti negli studi privati. Solo la tappa di un braccio di ferro con l'Ausl piacentina o il tramonto di un modello nazionale nato nel 2008 con Livia Turco Ministro della Salute e a dieci anni di distanza non ancora decollato?

La vicenda piacentina - L'Emilia Romagna è la Regione che più ha scommesso sulle case della salute con una delibera del 2010. Da allora ci hanno pensato le Ausl a firmare accordi con i medici di famiglia per attivarle: piccole (sedi di medicine di gruppo potenziate), medie (con specialisti) e grandi (ospedali piccoli riconvertiti). Un esempio, a Parma. «In questi anni ogni Ausl ha soprattutto armonizzato la dotazione e il personale della casa della salute con l'obiettivo di affrontare le cronicità», spiega Antonio Slawitz, Snami Pr. «Qui con il supporto dei mmg si sono realizzate strutture medio-piccole vicine ad ambulatori diagnostici dove più medici si alternano nell'arco di 9-12 ore e dove gli incentivi arrivano alla struttura in cambio di servizi (centro prelievi, prenotazioni Cup, presenza di diagnostica strumentale). A Piacenza si è lavorato, mi risulta, di più sulla presenza oraria del medico». L'anno scorso però l'accordo piacentino Ausl-sindacati medici è saltato. Per declinare il Piano nazionale cronicità su otto diffuse patologie l'Ausl aveva varato il progetto Futuro in salute. Ma se sulla parte clinica medici, specialisti, pediatri, infermieri erano d'accordo, sulla parte economica Smi e Fimmg, sindacati maggioritari nel comitato di settore, hanno contestato: Fimmg lamenta sia la preponderanza dell'Ausl nel voler organizzare l'attività di visita e l'uso del personale, sia la redistribuzione degli incentivi nell'accordo economico. Una redistribuzione che per far stare nelle risorse tutte le patologie penalizzava il compenso già percepito dalle medicine di gruppo per alcune fin qui trattate, come il diabete. 

Per Fimmg, le regole per l'impegno dei medici sulle cronicità vanno fissate a monte a livello nazionale dalla nuova convenzione, oltre che regionale. L'Ausl ha deciso di andare avanti senza i due sindacati. Per il diabete, a ogni mmg è stata consegnata una chiavetta dove aggiornare le anagrafiche dei pazienti arruolabili nel progetto. Chi accettava la chiavetta, l'Ausl lo riteneva aderire a tutti i percorsi diagnostico-terapeutici della cronicità, anche quelli ancora da validare. Da qui il ricorso di dicembre al Tar del sindacato guidato da Michele Argenti: un accordo per essere tale va firmato con i sindacati, e maggioritari. I risvolti nazionali - Il rapporto Oasi "rimanda" le case della salute; in tutta Italia questi "templi" della medicina di iniziativa sono 300 (ma i distretti, uno ogni 85.000 abitanti, sono almeno 700) e solo una minoranza gestisce i dati dei pazienti cronici e organizza ambulatori per loro. «A dieci anni dalla proposta di Turco si ha l'impressione di un progetto realizzato - anche in Emilia Romagna dove si è scommesso molto - a macchia di leopardo, che rischia di invecchiare: un'occasione persa», dice Alessandro Chiari, segretario del Sindacato Medici Italiani dell'Emilia Romagna e responsabile Centro Studi SMI. «La forza del progetto era nella sinergia medici-pediatri-specialisti-infermieri in una sede comune. Benché la delibera del 2010 fosse tesa a omogeneizzare i modelli di assistenza, l'impressione è che, per semplificare, le Ausl abbiano scommesso sulle sedi delle medicine di gruppo esistenti o sulla possibilità di collocare in strutture nuove i medici già in gruppi. Come SMI noi pensiamo tuttora che tutti i medici di famiglia, anche "single", in tutti i distretti vadano coinvolti nelle Case della Salute. Tra l'altro, appoggiarsi su una particolare forma organizzativa è erroneo, rende più facile l'accesso alle cure per chi abita in un certo luogo a scapito degli altri cittadini, crea una disparità assistenziale. Fin qui queste strutture sembrano aver avuto più un ruolo politico che di supporto omogeneo all'assistenza. Per noi dovevano e devono erogare livelli essenziali di assistenza in modo ubiquitario e ugualmente accessibile ma l'impressione è che quelle che ci sono ci sono e quelle che non ci sono non ci saranno, con buona pace dell'ammodernamento del Servizio sanitario». 


Mauro Miserendino