Caso Labriola: l’assassino voleva una ricetta per avere la pensione d’invalidità

Dall’indagine della procura emerge che Vincenzo Poliseno non agì perché non era sano di mente

martedì 24 settembre 2013


GABRIELLA DE MATTEIS GIULIANO FOSCHINI (Repubblica Bari)

NON è un pazzo, dice il giudice nell’ordinanza con la quale ha messo in galera Vincenzo Poliseno. (nella foto) E forse non è stato nemmeno un raptus, ma un omicidio freddo e con un movente ben preciso, economico. Poliseno avrebbe ucciso Paola Labriola perché la dottoressa si era rifiutata di prescrivergli i farmaci e istruire un piano terapeutico che consentisse al paziente di ottenere la pensione di invalidità. Una richiesta che Poliseno aveva fatto alla psicologa anche nel primo e unico incontro che i due avevano avuto. E che probabilmente avrebbe riproposto anche la mattina del 4 settembre, prima di finirla con più di cinquanta coltellate. E’ questa l’ultima ipotesi sulla qualestanno lavorando gli uomini della Squadra Mobile che indagano sull’omicidio della psichiatra: un’ipotesi che allontanerebbe definitivamente la possibilità che Poliseno possa essere ritenuto incapace di intendere e di volere. In attesa di definire le sue responsabilità, la Polizia sta cercando però di verificare se esistono altre responsabilità. A partire da quelle di chi avrebbe dovuto assicurare sicurezza sui luoghi di lavoro.

Come la Regione, anche l’Asl ha aperto un’indagine interna per definire spazi e responsabilità. La Polizia ha acquisito tutta la documentazione a partire dalle denunce e dalle lettere — pubblicate da Repubblica — nelle quali la dottoressa Labriola e le sue colleghe denunciavano l’allarme sicurezza e chiedevano tutele e presidi all’interno della struttura. «Non c’è sicurezza negli ambienti di lavoro — scrivevano — a causa del facile accesso da parte di chiunque al Servizio sia che per la conformazione non funzionale degli spazi dell’ambulatorio che per l’assenza di personale di controllo. Questa condizione di lavoro rende tutti i dipendenti vulnerabili: serve una guardia giurata». L’Asl aveva risposto inviando un guardiano che però di fatto aveva lavorato per pochissimo: a non volerlo erano stati gli stessi operatori. Era un loro paziente, non sembrava la persona più adatta per svolgere quel tipo di ruolo. In realtà le risposte reali sono arrivate soltanto il 17 settembre, quasi due settimane dopo la morte di Paola, con altrettante disposizioni del direttore generale che di fatto davano seguito alle richieste antiche degli operatori.

«Con procedura di priorità — scrive il direttore generale, Domenico Colasanto in uno dei documenti allegati agli atti — in collaborazione e su indicazione dei direttori dei centri di salute mentale, devono essere forniti i presidi meccanici (interfono, videocitofono, pulsante di allarme in ogni stanza), così deciso dalla conferenza di servizi che si è tenuta con tutti i direttori il 16 settembre».

«L’area gestione patrimonio — aggiungono — in accordo e in collaborazione con i direttori del Centro di servizio mentale deve provvedere a sostituire gli arredi delle strutture, laddove necessario». «Bisogna provvedere all’acquisto — continua Colasanto — di autovetture a cinque porte, nel limite massimo di 14, in maniera da garantire 2 autovetture efficienti per ciascun centro». E’ prevista inoltre «l’assunzione a tempo determinato di altri otto infermieri in aggiunta ai sei già assunti. All’assunzione a tempo determinato di altri cinque dirigenti medici-psichiatri, in aggiunta i due già deliberati. All’indizione — continua la lettera — di un avviso pubblico a tempo determinato per il reclutamento di 7 tecnici della riabilitazione psichiatrico».

A ciascun Centro, come quello di via Tenente Casale in cui lavorava Paola, dovranno dunque andare «due infermieri, un dirigente medico, un tecnico della riabilitazione ». Quindi, in dieci giorni dopo l’omicidio la Asl compra automobili, mette in sicurezza i luoghi di lavoro con l’acquisto di citofoni e sistemi di filtraggio. Assume nuove personale, sia medico che paramedico.

Non solo: sempre il 17 settembre in una seconda lettera la Asl predispone la promessa riorganizzazione dei centri che prevede tra le altre cose «l’organizzazione per ogni centro di una funzione e attività di front office con personale in regime di dipendenza, o dipendente della società in house Sanità service, o fornito da un appaltatore esterno». In sostanza rispondono a tutte le richieste che Paola e le sue colleghe da mesi avevano avanzato. L’indagine ora mira a capire se queste risposte sarebbero dovute arrivare prima di quelle cinquanta coltellate.

LABRIOLA DAI CARABINIERI: LA SUA DENUNCIA (.pdf)
L'SOS DAL CENTRO: 'SERVE UNA GUARDIA GIURATA' (.pdf) 
LA RICHIESTA DI AIUTO AI VERTICI DELLA ASL (.pdf)
L'APPELLO: 'SIAMO TUTTI VULNERABILI' (.pdf)