Esame del sangue potrebbe rilevare le metastasi del cancro al seno ad uno stadio precoce

E' la ricerca del DNA del tumore libero circolante (circulating tumour DNA, ctDNA)

martedì 26 maggio 2015

(APA - 26/5/2015): Nel cancro al seno, le metastasi costituiscono un particolare rischio per la vita. Secondo uno studio svedese pubblicato su “EMBO Molecular Medicine”, un esame del sangue per il DNA del tumore libero circolante (circulating tumour DNA, ctDNA) può essere utilizzato per la diagnosi precoce delle metastasi. Ciò potrebbe migliorare le probabilità di trattare e curare i nuovi tumori.

In genere, le persone hanno basse quantità di DNA libero circolante nel sangue. Tuttavia, in caso di malattie come il cancro, questi livelli possono aumentare e il DNA circolante potrebbe contenere mutazioni genetiche specifiche del tumore. Gli scienziati dell’Università di Lund hanno analizzato i campioni tumorali ed ematici di pazienti con cancro al seno in uno studio condotto fin dal 2002. Sebbene solo 20 donne fossero incluse nello studio, i risultati sono stati “notevoli”, sostengono gli autori.

“Per 19 donne su 20, il ctDNA nei campioni ematici forniva una chiara indicazione di come sarebbero andate le cose. Le donne che non avevano mai avuto una recidiva non avevano alcun ctDNA rilevabile, mentre tutte le donne che presentavano DNA del tumore nel sangue alla fine avevano recidive sintomatiche che venivano diagnosticate in clinica”, ha spiegato l’autore dello studio Lao Saal.

È stato perfino possibile rilevare segni di metastasi nel sangue ad uno stadio precoce. In media, la diagnosi delle metastasi è stata possibile undici mesi prima che fossero identificate usando procedure cliniche standard, in alcuni casi le metastasi sono state rilevabili perfino tre anni prima.

“Se potessimo rilevare le recidive di cancro con tale anticipo, potremmo essere in grado di trattarle con maggior successo”, ha affermato Saal. Se l’efficacia del metodo potrà essere confermata, gli esami regolari del sangue sarebbero significativi. In tal modo, potrebbe essere possibile evitare un trattamento aggressivo per le donne non a rischio di sviluppare una recidiva, hanno affermato i ricercatori.