Asl, Vendola sospende Colasanto

Il dg indagato per la morte della psichiatra: “Fece falsificare gli atti”

sabato 09 novembre 2013

GABRIELLA DE MATTEIS GIULIANO FOSCHINI  (Repubblica Bari)

Il Presidente della regione, Nichi Vendola, ha deciso di sospendere il direttore generale della Asl di Bari, Domenico Colasanto. «Per fare in modo che l’accertamento dei fatti sia compiuto con la massima serenità è bene che Colasanto sia sospeso per sessanta giorni». A rimettere il suo mandato nelle mani del Governatore era stato lo stesso Colasanto, che giovedì ha ricevuto un avviso di garanzia nell’ambito dell’inchiesta sull’omicidio di Paola Labriola. Colasanto è indagato per induzione in concussione: il dg è accusato da un suo medico, il responsabile del servizio di sicurezza dell’azienda, Alberto Gallo, di averlo costretto a falsificare il documento di valutazione del rischio del centro di via Tenente Casale. Sembra orma certo che il giorno in cui fu uccisa la psichiatra quella struttura era priva della documentazione necessaria.

Era dunque fuori norma come più volte aveva denunciato la stessa Labriola, anche ai carabinieri, prima di essere uccisa. La questione non è soltanto burocratica. In quel documento dovevano essere previste tutte una serie di misure (dalla guardinia al filtraggio dei pazienti) che avrebbero anche potuto salvare la vita della Labriola. Ma questo l’inchiesta lo accerterà in seguito.

Oggi i magistrati dicono che il documento consegnato dalla Asl era falso, come ammette chi lo ha firmato, il dottor Gallo. Che però lo avrebbe fatto perché «indotto» dallo stesso Colasanto, che prima gli avrebbe ricordato la sua «precarietà» nel posto di lavoro (Gallo non è assunto a tempo indeterminato) e poi ancora più esplicitamente gli avrebbe detto: «Te la farò pagare ». Il racconto del medico è molto circoscritto. Per questo la procura ha deciso di cristallizzarlo in sede di incidente probatorio, chiesto dal pm Baldo Pisani al gip. «Il nostro obiettivo — dice — è individuare responsabilità connesse, precedenti e successive all’omicidio, miranti ad occultare le responsabilità della Asl di Bari». E’ il caso della delibera di nomina di Gallo, che dopo aver visto l’incarico scadere il 30 giugno, ricevette una proroga cinque giorni dopo il delitto. Il giorno dell’omicidio quindi la Asl non aveva un responsabile sicurezza, o meglio il ruolo era svolto da Colasanto stesso.

Dalle dichiarazioni, continua il pm, emerge una «condotta tenuta dal direttore generale della Asl il quale ha già strumentalizzato la propria posizione di superiore paventando possibili sviluppi deteriori del rapporto di lavoro con la Asl di Bari del dottor Gallo minacciandolo espressa-
mente con le parole “ho capito tutto, te la farò pagare”».

Accusa che però Colasanto contesta. Non nega — come aveva fatto in un primo momento, almeno con i giornali — la circostanza secondo cui il Documento non esistesse o comunque fosse carente. Ma racconta davanti alla commissione interna regionale che lui per primo quando Gallo gliel’ha consegnato («non lo abbiamo prodotto subito perché il medico è in ferie» spiegò Colasanto a Repubblica) ebbe dubbi sull’autenticità, tanto da segnalarlo alla Procura. E che quando chiese che gli fosse fornito l’originale, gli venne spiegato che il computer era stato rubato: furto che anche in questo caso il direttore generale segnalò alla Polizia.

 «L’unica cosa certa — commenta l’avvocato di parte civile, Michele Laforgia — è che Paola Labriola aveva ragione: quello non era un posto sicuro per i lavoratori»

Altri articoli sull'argomento