“Siamo tutti vulnerabili” la psichiatra denunciò tutto già a ottobre del 2012

Presentate 5 denunce: quella di Paola Labriola era una morte annunciata. (Repubblica Bari)

domenica 22 settembre 2013

GABRIELLA DE MATTEIS GIULIANO FOSCHINI  (Repubblica Bari)

IL 23 settembre del 2010. Il 29 agosto del 2012. Il 13 ottobre del 2012. E ancora, il 18 maggio e il 22 maggio del 2013 Forse ora è davvero il caso di dirlo: quella di Paola Labriola — la psichiatra uccisa sul lavoro il 4 settembre scorso da un paziente del Centro di salute mentale — era una morte annunciata.

Annunciata da lei stessa e dai suoi superiori ai Carabinieri, alla direzione generale della Asl. «Non c’è sicurezza negli ambienti di lavoro — diceva la Labriola alla Direzione della Asl insieme con il responsabile del centro Sim — a causa del facile accesso da parte di chiunque al Servizio sia che per la conformazione non funzionale deglispazi dell’ambulatorio che per l’assenza di personale di controllo ». «Questa condizione di lavoro rende tutti i dipendenti vulnerabili: serve una guardia giurata», scriveva quattro mesi prima di essere uccisa.

Centinaia di lettere, denunce, protocollate dalla Asl e che ora sono sulla scrivania della Squadra mobile di Bari che, coordinata dal pm Baldo Pisani, sta indagando non soltanto per capire se davvero la mano di quel killer sbandato, Vincenzo Poliseno, non potesse essere fermata.
Il primo documento è del 23 settembre del 2010. «In tarda mattinata, presso il Csm in via Casale 19 — scrive il direttore del centro all’allora direzione generale della Asl — si presentava per essere sottoposto a visita medica.

Mentre la dottoressa Paola Labriola cercava di convincerlo ad assumere la terapia farmacologica, l’infermiere professionale G. G. si avvicinava per supportarla. A quel punto il paziente ha colpito al volto l’operatore al quale è stata riconosciuta una prognosi di cinque giorni». Prima aggressione, quindi. Il 29 agosto del 2012 la dottoressa va dai Carabinieri e denuncia l’ingresso nella struttura di alcuni balordi e il furto di alcuni medicinali.

La denuncia più incredibile è però quella del 13 ottobre, quando davanti ai Carabinieri si presenta la dottoressa. E racconta la storia di B. K., un loro vecchio paziente che era entrato nel centro «e minacciandoci con una pietra che aveva nel proprio pantalone ci minacciava di lanciarla contro i presenti o che avrebbe spaccato tutto, se non avesse ricevuto una somma in denaro. Per dimostrare che le sue intenzioni erano serie — continuava nel verbale la psichiatra — cominciava a sbattere la pietra sulla vetrata d’ingresso, che comunque presenta vetri antisfondamento, quindi rimasti intatti, e non contento lanciava l’oggetto sul lampadario».

LE LETTERE ALLA ASL
Mentre Paola Labriola era seduta davanti ai Carabinieri a denunciare l’insicurezza del suo luogo di lavoro, il responsabile del suo ufficio scriveva alla Direzione generale, a quella sanitaria e dei servizio di igiene mentale della Asl. Denunciava e raccontava l’aggressione ma andava oltre. «Tale aggressione — scrive — è dovuta alla mancata sicurezza degli ambienti di lavoro a causa del facile accesso da parte di chiunque al Servizio sia che per la conformazione non funzionale degli spazi dell’ambulatorio, che per l’assenza di personale di controllo». «Questa condizione di lavoro — continua — rende tutti i dipendenti vulnerabili e a rischio e si ripercuote in senso negativo sulla qualità del proprio operato ». Insomma, sembra la cronaca dell’assassinio di Paola.

Ma cosa risponde la Asl? Nell’immediato nulla. Tant’è che il 19 ottobre il responsabile del servizio torna a scrivere: «Facendo seguito alle segnalazioni di recenti episodi di aggressioni, avvenute nel servizio anche a causa dell’assenza di un adeguato filtro all’ingresso, si richiede l’assegnazione di un portiere che possa presidiare la stanza di attesa del Servizio». Un portiere per fare filtro. Quello che sarebbe servito quella mattina. Lo manda la Asl?

LA BEFFA DEL PORTIERE
Dopo una nuova nota di sollecito del 23 ottobre, la Asl decide di distaccare un ausiliario al centro di via Tenente Casale per «sovrintendere la stanza in attesa del servizio». Il portiere però lavorerà per pochissimo, quasi per nulla. Il 31 ottobre e il 21 novembre infatti il Centro di salute mentale contesterà la scelta dell’ausiliario individuato: era un paziente dello stesso centro Sim, non esattamente la persona giusta per garantire la sicurezza dello stabile.

L’ULTIMA DENUNCIA
Da ottobre al giorno dell’omicidio continuano ad accadere cose. Le ultime, secondo quanto ricostruito dagli investigatori, a maggio del 2013 quando il responsabile del centro torna a scrivere ai suoi responsabili. «Più volte in passato si sono segnalate situazioni di rischio da parte di malintenzionati e non — si legge in un documento del 18 maggio — Segnalazioni rimaste senza alcun riscontro, mentre purtroppo è perdurato lo stato di allarme denunciato.

Negli ultimi mesi, infatti, si è susseguita ancora una lunga serie di episodi preoccupanti: pensanti aggressioni verbali, minacce e intimidazioni rivolte a operatori. Episodi spesso avanzati fin sul ciglio di possibili incidenti e sfociati, varie volte, in richieste di interventi delle Forze dell’ordine. Si rinnova pertanto la richiesta urgente di un provvedimento volto a ridurre il rischio. Per esempio: l’assegnazione di una guardia giurata che possa avere un certo effetto deterrente verso il possibile degenerare di alcune situazioni». Una necessità, quella della guardia giurata, ribadita in un’altra lettera del 22 maggio, ultimo epilogo della cronaca di un assassinio annunciato.