Aumento importante della certificazione di malattia in Italia

Lo rivelano le recenti statistiche dell’INPS, mentre diminuiscono i controlli su tutto il territorio nazionale.

venerdì 24 febbraio 2017

DOTT-NET

 E’ di pochi giorni fa la pubblicazione da parte dell’INPS dei risultati concernenti la “Certificazione di malattia dei lavoratori dipendenti privati e pubblici”, relativi allo scorso anno.

I dati del 2015, rapportati al 2014, ma anche agli anni precedenti, dimostrano, in modo inequivocabile, che “nel 2015 sono stati trasmessi 12,1 milioni di certificati medici per il settore privato e 6,3 milioni per la pubblica amministrazione; il numero dei certificati di malattia trasmessi rispetto al 2014 presenta un aumento del 4,3% per la pubblica amministrazione e del 4,9% per il settore privato”, in periodi in cui non si può certo parlare di aumento del numero dei lavoratori rispetto al passato. Risulta chiaro che tale incremento e i relativi costi vanno ad aggiungersi alla già consistente indennità di malattia, che per le casse pubbliche è di circa due miliardi l'anno.

I dati pubblicati illustrano come l’aumento riguardi in particolare le classi da 6 a 10 giorni (+11,3%) e da 4 a 5 giorni (+7,7%), registrandosi una contro tendenza per gli eventi con un solo giorno di malattia, che registrano una diminuzione del 2,7% rispetto al 2014. Nel settore privato i certificati di malattia da 1 a 10 gg sono in aumento, quasi a tendere verso un riallineamento con quello pubblico e con le connotazioni negative che ciò implica.

Emerge che, in relazione al settore privato, ci si ammala di più in Lombardia, dove si concentra la maggior parte dei certificati medici del 2015, con 2,6 milioni di certificati pari al 21,4%, seguita dal Lazio (11,2%). Per la pubblica amministrazione invece, al primo posto spicca il Lazio con il 13,7% e la Sicilia con il 12,3%, a seguire Lombardia (11,5%) e Campania (10,9%).

Sempre nel privato, a fronte dell’aumento del 4,9%, si evidenzia a livello regionale, un incremento massimo in Basilicata (+20,4%) e due regioni in contro tendenza, Valle d’Aosta e Calabria, con una diminuzione dell’1,2%. Nella pubblica amministrazione, al 4,3% di aumento del numero dei certificati contribuiscono in modo particolare la Calabria (+11,8%) e le Marche (+10,6%), mentre nel Lazio si registra un decremento pari all’1,2%. Resta il lunedì il giorno “nero” della settimana, in cui ci si ammala di più, con un 30% di maggior frequenza rispetto ai restanti. Una media del 33%  fa poi osservare come la durata del certificato sia di 2-3 giorni, particolarmente per la pubblica amministrazione.

Quanto alla durata media della malattia, a fronte di 18,4 giorni del complesso, si arriva a 41,8 nel settore Agricoltura, caccia e pesca, contrapponendosi alla durata media di malattia di 9,6 giorni per i “Servizi di informazione e comunicazione”.

Chiunque, in base ai propri campi di interesse e specializzazione, potrà desumere dai dati innumerevoli osservazioni ed applicazioni, sperando che qualcuno si soffermi su quell’incremento del 4,9%, che, rapportato a milioni di lavoratori e ai costi di cui l’Erario deve farsi carico, non è certamente irrisorio.

Non figurano invece, tra i dati pubblicati, quelli relativi alla percentuale di controlli che l’INPS, per legge, dovrebbe effettuare al fine di verificare l’effettivo stato di malattia dei lavoratori. Probabilmente a molti sfugge come, a fronte dell’incremento delle certificazioni, il budget del 2015 e del 2016 per le visite di controllo da parte dei medici fiscali sia stato ridotto all’osso. I 50,6 milioni di euro destinati prima del 2013 sono stati infatti ridotti ad appena 13,8 milioni di euro, tanto da rendere irrisorio il numero dei controlli su tutto il territorio italiano; in pratica restano i controlli richiesti dai datori di lavoro (a loro carico). Dal 15-20% di controlli sui certificati pervenuti, un tempo particolarmente suggerito dalle varie Direzioni dell’Istituto, si è passati ad un 3-4%, vanificando quei benefici che il sistema della medicina di controllo avrebbe potuto apportare, evitando maggiori  oneri a carico del bilancio dell’Ente, e che ricadono, in ultima analisi, su quello dello Stato.

A nulla sembra siano servite le tante interrogazioni parlamentari e i vari Ordini del Giorno di Camera e Senato, che hanno ripetutamente dimostrato come la spesa per la medicina fiscale INPS non solo è praticamente in pareggio, ma si può considerare una delle voci attive dell’Istituto, in considerazione dei vantaggi procurati dalle riduzioni delle prognosi, dalle indennità da corrispondere agli assenti al domicilio, dalle responsabilità terzi, dalle certificazioni di competenza INAIL e riprese dell'attività lavorativa anticipate senza segnalazione, che vengono tutti esercitati solo con un costante e incisivo controllo da parte dei medici fiscali.

Tantomeno è stato dato ascolto agli estenuanti appelli dell’associazione nazionale medici fiscali, che da più di tre anni denuncia il rischio che si corre abbattendo drasticamente i controlli a favore dell’incremento dello stato di malattia, che puntualmente si è verificato, con il 4,9%.  La stessa ha ripetutamente segnalato la mancanza di controlli nel settore pubblico, sollecitando l’operatività del “Polo Unico” della medicina fiscale attraverso i fondamentali decreti legislativi, ancora in fase di scrittura.

E’ per questi evidenti squilibri che l’associazione torna a sollecitare la revisione del  provvedimento dell’INPS, che ha determinato l’estrema riduzione dei controlli domiciliari demansionando la categoria preposta e peggiorando l'efficienza ed efficacia del servizio da essa svolto.

Alla luce dei preoccupanti dati, ANMEFI  rivendica il ruolo nel controllo della certificazione di malattia e dell’assenteismo lavorativo, grazie alla capillare azione svolta dai medici fiscali su tutto il territorio della nazione, assolutamente adeguati alle nuove tecnologie e prontamente disponibili all’espletamento del servizio che solo ad essi compete.