Cassazione: la privacy nei certificati di malattia va tutelata

I dati sulle patologie erano stati trasmessi dal medico fiscale anche al datore di lavoro

martedì 06 febbraio 2018

Dott Net

E' un tema molto delicato che coinvolge medici e strutture pubbliche. La tutela della privacy è stata affrontata dalla Corte di Cassazione, terza sez. civ. che con l’Ordinanza n. 2367 del 31 gennaio 2018 affronta la diffusione dei dati sanitari dei pazienti ad aziende e datori di lavoro.

Nel caso di specie, analizzato da Michele Iaselli per Altalex, (clicca qui per la sentenza completa) il ricorrente impugna una sentenza della Corte d'Appello di Napoli con la quale era stato confermato il rigetto della domanda di risarcimento danni avanzata dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nei confronti di un medico fiscale, ritenuto da lui responsabile dei danni subiti e conseguenti nell'invio al preside del locale Liceo Ginnasio Statale presso il quale insegnava materie letterarie (e dal quale si era assentato per malattia per 21 giorni) della copia del referto medico destinata al datore di lavoro in cui era stato riportato che il docente era "in attesa di consulenza psichiatrica".

La Suprema Corte ritiene sicuramente sussistente la violazione in materia di privacy ai danni del ricorrente, ma in realtà per quanto il comportamento del medico fiscale sia stato censurabile, la Corte ritiene che dal predetto comportamento non sia comunque configurabile l’esistenza di un danno nei confronti del ricorrente, per cui alla fine sebbene per motivazioni diverse respinge il ricorso e conferma la sentenza della Corte d’Appello.

In effetti la Corte di Cassazione afferma che almeno due motivi del ricorso contengano rilievi fondati sulla complessiva censurabilità della condotta del medico fiscale, che in sè, da un punto di vista teorico poteva essere foriera di danni morali al ricorrente: con il primo motivo, infatti, il ricorrente lamenta che la Corte avrebbe erroneamente interpretato la L. n. 300 del 1970, art. 5  ed il D.M. 15 luglio 1986 ritenendo legittima e comunque irrilevante l'annotazione sul referto medico della circostanza di essere in attesa di una consulenza psichiatrica; con l’altro motivo si duole del fatto che la Corte aveva erroneamente escluso che la condotta del medico fiscale, illegittima, avesse arrecato una lesione dell'immagine del docente nonostante le ripercussioni esistenziali descritte e consistenti nell'allontanamento e nella diffidenza maturata nei suoi confronti dagli amici, dai parenti e dai colleghi.

Tuttavia, la prima censura - che contiene un rilievo fondato – secondo la S.C. non è utile all'accoglimento del ricorso ed impone anche la reiezione dell'altro motivo in esame.

E' ben vero, difatti, che la riservatezza imposta nella refertazione del medico fiscale esige che non debba essere annotata sulla copia per il datore di lavoro la diagnosi del paziente: il D.M. 15 luglio 1986, art. 6 prevede infatti che "al termine della visita, il medico consegna al lavoratore copia del referto di controllo, ed entro il giorno successivo, trasmette alla sede dell'Istituto nazionale della previdenza sociale le altre tre copie destinate rispettivamente, la prima, senza indicazioni diagnostiche, al datore di lavoro o all'Istituto previdenziale che ha richiesto la visita, la seconda agli atti dell'Istituto nazionale della previdenza sociale, la terza per la liquidazione delle spettanze al medico e per assicurare un flusso periodico di informazioni sullo sviluppo del servizio e sulle relative risultanze".

Ed è altresì vero che l'interpretazione delle norme preposte alla tutela della riservatezza, con particolare riferimento ai dati sensibili quali certamente sono quelli concernenti le condizioni di salute del dipendente malato, induce a ritenere che il datore di lavoro debba essere a conoscenza soltanto della conferma della prognosi da parte del medico fiscale; e che, dunque, qualsiasi indicazione - anche concernente le visite specialistiche prescritte - dalla quale possa essere desunta la diagnosi, debba ritenersi contrastante con la normativa sulla tutela della privacy.

Tuttavia il fatto dal quale sarebbe derivato il pregiudizio dedotto dal ricorrente (e cioè l'isolamento dipendente dal comportamento diffidente e persecutorio manifestato dai colleghi e dai parenti venuti a conoscenza dell'accertamento psichiatrico cui era stato sottoposto ed il danno non patrimoniale a ciò conseguente) non è ascrivibile alla annotazione effettuata dal medico fiscale, ma deve essere collegato, sulla base della stessa prospettazione del ricorrente, alla avvenuta divulgazione della richiesta di una visita collegiale psichiatrica da parte del Provveditorato al quale il preside della scuola aveva trasmesso il referto ricevuto.

La divulgazione delle informazioni sensibili dalla quale sarebbe derivato il danno dedotto non è, quindi, riconducibile alla condotta del medico fiscale che si è limitato a trasmettere alla scuola presso la quale il ricorrente lavorava la copia del referto di competenza del datore di lavoro, sia pur corredato dalla annotazione contestata, ma alla diffusione della notizia dell'accertamento che l'amministrazione scolastica aveva ritenuto necessario espletare e dal comportamento della cerchia amicale e parentale che avrebbe deciso di allontanarsi da ricorrente: e, al riguardo, va precisato che nel caso in esame la generica enunciazione della sussistenza di un danno  in re ipsa  non risulta fondata su una allegazione sufficientemente supportata, tale da consentire l'individuazione del pregiudizio subito e la conseguente quantificazione del danno.

"La pronuncia della Suprema Corte – secondo il parere di Michele Iaselli per Altalex - non è esente da critiche poiché l’organo giudicante ingiustamente finisce per far rimanere impunito il comportamento illegittimo del medico fiscale che tra l’altro la stessa Corte riconosce come tale. E’ ovvio, difatti, che la diffusione della notizia è una logica conseguenza dell’annotazione del medico fiscale per cui non si comprendono le motivazioni di una distinzione operata dalla Corte del tutto ininfluente. Altra questione poi è la carenza di un’idonea documentazione giustificativa che dimostri l’effettività ed entità del danno" .