I punti di primo intervento vanno chiusi entro dicembre

Il diktat dei ministeri è nel piano già approvato a Roma «Dove non c'è l'ospedale urgenze affidate solo al 118»

sabato 14 aprile 2018

 MASSIMILIANO SCAGUARINI  "La Gazzetta del Mezzogiorno"

BARI. Le intese raggiunte in sede di verifica degli adempimenti del Piano operativo impediscono alla Regione di esercitare qualunque tipo di discrezionalità sui 39 Punti di primo intervento. Anche su quelli «maggiori», che superano la soglia dei 6mi]a accessi l'anno e potrebbero essere assimilati a dei piccoli pronto soccorso. Il tema è esattamente questo: non lo sono e, neh'impostazione dei ministeri della Salute e dell'Economia, generano spesa impropria per prestazioni inutili. D. vincolo è stato messo nero su bianco nel Programma operativo 2016-2018 che è stato definitivamente approvato a inizio gennaio. Nel documento si ricorda che il tavolo di verifica, a luglio 2016, aveva già imposto alla Regione «di completare la chiusura dei Ppi entro il termine di 18 mesi». Ovvero entro il prossimo 31 dicembre, quando dovrebbe terminare il commissariamento «soft» cui è sottoposta la Puglia: il mancato adempimento degli impegni contenuti nel programma triennale impliche- rebbe (potrebbe implicare) un rinnovo per altri tre anni e la mancata erogazione della premialità, 250 milioni che sono destinati a sostenere le nuove assunzioni. Questo è il contesto tecnico. Dei 39 Ppi, alcuni negli anni hanno assunto la dizione di Ppit: la «t» sta per territoriale, a indicarne l'apertura H24. Sono presidi che non esistono in nessuna altra parte d'Italia, e sono frutto del compromesso politico e delle pressioni locali: a meno di qualche eccezione (il Gargano), la gran parte dei Ppit sono il residuo della disattivazione di ospedali. Un «contentino», insomma, che dal punto di vista dell'assistenza - secondo i tecnici - non può costituire un punto fermo. Nel programma triennale l'apertura del Ppi veniva infatti prevista «per un periodo di tempo limitato»: l'obiettivo è infatti «la trasformazione in postazione medicalizza-ta del 118 entro un arco temporale prede-finito», ovvero il prossimo 31 dicembre. E questo vale tanto per i punti più grandi (che sono funzionalmente collegati ai dipartimenti di emergenza dell'ospedale più vicino, come Triggiano con il Di Venere), quanto per quelli minori. Insomma, strutture di transizione (che nel resto d'Italia già non ci sono più): dove non c'è il pronto soccorso, il sistema dell'emergenza deve essere affidato al 118 e tutto ciò che non è urgente deve essere affidato al territorio (medici di base e pediatri di libera scelta, anche con ambulatori aperti 18 ore come previsto dal contratto). Lo spazio di mediazione, dunque, è quasi inesistente. Ma Emiliano ha deciso di confrontarsi sia con i direttori generali (che hanno già in mano le direttive dell'assessorato) sia con i sindaci. E dunque, presumibilmente, il presidente della Regione farà il collettore di proteste. Ma in questo contesto, tutto ciò che potrà essere concesso è un ulteriore slittamento delle chiusure di pochi mesi. Intanto, i sindacati confederali chiedono una convocazione da parte di Emiliano e parlano di «decisione affrettata»: «Bisogna affrontare le situazioni caso per caso - è detto in una nota congiunta delle segreterie regionali di Cgil, Cisl e Uil - e valutare tra l'altro l'impatto che avranno i 6.000 accessi finora garantiti dai Ppi che si vogliono riconvertire sui servizi di Pronto soccorso dei presidi ospedalieri, già oggi sovraffollati e con poco personale».