Cassazione: è reato inserire immagini o pareri e commenti su medici

(Cass. Pen., Sent. n° 4873/17).

martedì 21 febbraio 2017

MD Digital: La vicenda dell'ospedale di Nola arrivata su tutti i giornali, in cui una persona ha fotografato pazienti curati per terra per mancanza di posti letto ha scoperchiato un vaso di Pandora: denunce, interviste e la scoperta dell'esistenza di decine di gruppi sui principali social. Sono gruppi segreti o chiusi che hanno lo scopo di raccogliere le segnalazioni sui disservizi delle varie strutture sanitarie italiane. Sono già decine, vi si accede su invito e sono difficili da individuare ma si stima che ne nascano circa 10 al giorno.
Più che una moda, un desiderio di denuncia, una valvola di sfogo, un luogo dove canalizzare commenti rabbiosi. Tanto praticamente tutti hanno in tasca un tablet o uno smartphone con cui riprendere la visita medica del parente o registrare l'audio della propria, spiare cosa accade in corsia e raccogliere documentazione per eventuali denunce di disservizi. Il passo successivo è postare il video su un social network e raccogliere la solidarietà degli altri membri, oppure collezionare testimonianze analoghe. Peccato che si rischi di commettere un illecito, se non addirittura un reato, come spiega l'avvocato Salvatore Frattallone, del Foro di Padova e Chairman del Network di avvocati View Net Legal.
"I numerosi casi di malpractice non sempre danno luogo ad una denuncia, spesso le persone si limitano a lamentarsene su un social, grazie alla possibilità di documentare facilmente una situazione. Ma non è detto - sottolinea l'avv. Frattallone - che usare video o foto su Facebook sia lecito. Il paziente che riprenda un'operazione sanitaria o che scatti delle fotografie di luoghi o persone impiegate all'interno di una struttura sanitaria rischia di violare il Decreto Legislativo n° 196/03 e d'incorrere nella commissione di un reato".
L'art. 5 del Codice per la tutela dei dati personali privacy prevede infatti che l'acquisizione di immagini di persone in un luogo soggiace alle ferree regole dettate per la tutela della riservatezza se i dati siano destinati 'a una comunicazione sistematica o alla diffusione'. Quindi immagini, video o voce possono essere raccolti liberamente, di regola senza problemi se sono destinati a restare nella sfera personale di chi li acquisisce, senza che ne venga fatto un altro uso diverso. Il Garante per la privacy ha chiarito che se le informazioni sono caricate online e risultano visibili in rete in modo libero, da parte di chiunque si connetta al web, allora operano le più stringenti regole della privacy.
Il fatto di caricare foto altrui su di un profilo facebook (o un gruppo), purché 'chiuso', non comporta, di per sé, l'applicazione del Codice della Privacy, ma può aprire la strada del penale: basta un commento offensivo o un like ad un commento offensivo della dignità del soggetto ripreso. Per incorrere nel reato di diffamazione. Nel processo penale, si può innestare una causa civile se la vittima intende ottenere un risarcimento per la reputazione che gli è stata lesa. In questi casi, infatti, opera l'art. 595 c.p. perché è fuori discussione che il binomio 'immagine+didascalia' è sicuramente idoneo a ledere la professionalità o l'immagine dell'ospedale, al pari di quella delle persone riprese in video e dileggiate. Per la Cassazione, il post su facebook, se offensivo, comporta l'aggravante ex art. 595, co. 3, c.p. perché il reato è stato consumato attraverso un mezzo di pubblicità, che fa scattare la pena da 6 mesi a 3 anni (Cass. Pen., Sent. n° 4873/17).