Cassazione Civile Sentenza n. 7516/18 – Responsabilità medica

Non informare il paziente è una condotta colposa

lunedì 09 aprile 2018

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Cassazione Civile Sentenza n. 7516/18 – Responsabilità medica – Non informare il paziente è una condotta colposa che in tanto può produrre un danno giuridicamente rilevante, in quanto impedisca al paziente di autodeterminarsi in modo libero e consapevole. Ma se il paziente sia già, per qualsivoglia causa, perfettamente consapevole delle conseguenze delle proprie scelte, mai potrà pretendere alcun risarcimento dal medico che non lo informi: non perché la condotta di quest’ultimo sia scriminata, ma perché qualsiasi conseguenza svantaggiosa dovrebbe ricondursi causalmente alle scelte consapevoli del paziente, piuttosto che al deficit informativo del medico.

FATTO E DIRITTO: Nel 1998 C. M. convenne dinanzi al Tribunale di Ravenna l’Azienda Unità Sanitaria Locale di Ravenna (che in seguitò verrà trasformata in “Azienda Unità Sanitaria Locale della Romagna”; d’ora innanzi, per brevità, sempre e comunque “la AUSL”) e L. Z., esponendo che: (-) nel 1992 si sottopose ad un intervento chirurgico di sterilizzazione mediante chiusura delle tube, eseguito dalla ginecologa L. Z. nella struttura ospedaliera di (Omissis), gestita dalla AUSL convenuta; (-) nonostante tale intervento, nel 1994 concepì un figlio; (-) la gravidanza espose a rischio la salute sua e quella del nascituro; (-) qualche mese dopo il parto patì una flebite all’arto inferiore sinistro; riv (-) in occasione dell’intervento di sterilizzazione non aveva ricevuto una completa ed adeguata informazione sulle sue possibilità di insuccesso. Concluse pertanto chiedendo la condanna dei convenuti in solido al risarcimento dei danni patiti sia in conseguenza della gravidanza e delle sue complicanze, ascritte all’imperita esecuzione dell’intervento di sterilizzazione; sia in conseguenza della carente informazione ricevuta sulla natura, sui rischi e sulle alternative dell’intervento di sterilizzazione cui venne sottoposta. Tutti e due i convenuti si costituirono negando la propria responsabilità. Con sentenza 20 novembre 2006 n. 993 il Tribunale di Ravenna rigettò la domanda, non ravvisando alcuna colpa nell’operato dei convenuti. La Corte d’appello di Bologna, adita dalla soccombente, con sentenza 21 luglio 2014 n. 1768 rigettò il gravame. Per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte d’appello ritenne che: (-) la paziente fosse stata correttamente informata della natura e delle conseguenze dell’intervento di sterilizzazione; (-) l’intervento fu eseguito correttamente; (-) nessuna tecnica di sterilizzazione reversibile esclude completamente il rischio di gravidanza; (-) la gravidanza del 1994 non aveva arrecato alcun nocumento permanente alla salute della gestante. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da C. M. con ricorso fondato su nove motivi. Hanno resistito con controricorso L. Z. e la AUSL, la quale ha altresì proposto ricorso incidentale condizionato, illustrato da memoria. Col primo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c.. E’ denunciata, in particolare, la violazione degli artt. 2, 13 e 32 cost.; 1218 e 1223 c.c.; 5 della Convenzione sui diritti dell’uomo; 24 della Carta dei diritti del fanciullo; 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea; 3 della I. 21.10.2005 n. 219; 6 della I. 19.2.2004 n. 40; 33 della I. 23.12.1978 n. 833 e 35 del codice deontologico dei medici. Nella illustrazione del motivo si espone una tesi così riassumibile: la Corte d’appello ha accertato in fatto che la paziente non diede alcun consenso scritto all’intervento; ha accertato in fatto non esservi prova che la paziente venne informata dei rischi di insuccesso connessi al tipo di intervento prescelto; e nondimeno ha rigettato la domanda di risarcimento del danno da violazione del diritto all’informazione, sul presupposto che la paziente, in quanto infermiera ostetrica (addetta per di più proprio all’ospedale ed al reparto dove venne operata), conoscesse perfettamente tali rischi. Così decidendo, secondo la ricorrente, la Corte d’appello avrebbe violato le dodici differenti norme costituzionali, sovranazionali, nazionali e deontologiche indicate poc’anzi, poiché il consenso del paziente all’atto medico non può esser presunto per facta concludentia, né l’obbligo del medico di informare il paziente può venir meno in ragione delle qualità personali del paziente.. Il motivo è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi. La Corte d’appello, infatti, non ha mai affermato quel che la ricorrente pretenderebbe di farle dire: e cioè che un medico possa astenersi dall’informare il paziente, quando anche quest’ultimo sia un medico, o comunque una persona esperta di medicina La Corte d’appello, in definitiva, ha ritenuto in facto che la paziente fosse stata informata e fosse consapevole delle caratteristiche e dei rischi dell’intervento di sterilizzazione, e non ha affermato in iure che l’informazione fosse superflua. Così ricostruito l’effettivo contenuto della sentenza impugnata, ne consegue che: (a) da un lato, essa non contiene affatto l’affermazione in diritto contestata dalla ricorrente: la Corte d’appello infatti ha ritenuto provata la piena consapevolezza della paziente circa la natura dell’intervento cui si stava per sottoporre non soltanto dalla sua qualità di ostetrica, ma da una serie di plurimi indizi, evidentemente ritenuti gravi, precisi 04/1/ e concordanti; (b) dall’altro lato, stabilire se la Corte d’appello abbia valutato correttamente o scorrettamente quegli indizi, è censura che investe un tipico apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità. Restano solo da aggiungere due precisazioni.  La prima è che l’informazione dovuta dal medico al paziente circa la natura dell’intervento, i suoi rischi, i possibili benefici ad esso connessi, le possibili alternative terapeutiche, è coessenziale all’esercizio del diritto alla salute. Il titolare del diritto alla salute, infatti, non potrebbe compiere nessuna scelta consapevole, se non sapesse a quali conseguenze si esporrebbe adottando una terapia piuttosto che un’altra.Informare il paziente non è dunque un atto formale, né un rituale inutile. Esso serve a mettere il paziente in condizione di scegliere a ragion veduta. Ne consegue che se il paziente sappia perfettamente quale sia l’intervento cui ha da essere sottoposto; quali ne siano le conseguenze, quali i rischi, quali le alternative (ad esempio, perché vi si è già sottoposto; perché è stato già informato da terzi; perché ha una competenza specifica su questa materia), l’eventuale inadempimento, da parte del medico, dell’obbligo di informarlo è giuridicamente irrilevante, per l’inconcepibilità d’un valido nesso di causa tra esso e le conseguenze dannose del vulnus alla libertà di autodeterminazione. Non informare il paziente, infatti, è una condotta colposa che in tanto può produrre un danno giuridicamente rilevante, in quanto impedisca al paziente di autodeterminarsi in modo libero e consapevole. Ma se il paziente sia già, per qualsivoglia causa, perfettamente consapevole delle conseguenze delle proprie scelte, mai potrà pretendere alcun risarcimento dal medico che non lo informi: non perché la condotta di quest’ultimo sia scriminata, ma perché qualsiasi conseguenza svantaggiosa dovrebbe ricondursi causalmente alle scelte consapevoli del paziente, piuttosto che al deficit informativo del medico. La Corte di Cassazione ha quindi rigettato il ricorso.