Torino, medico sbagliò la diagnosi La Asl costretta a risarcire

Secondo la Cassazione l’azienda sanitaria è responsabile civilmente degli errori del medico di base

lunedì 30 marzo 2015

Corriere della Sera

Esplora il significato del termine: Colpito da un malore al braccio sinistro dopo una corsa, aveva telefonato al medico di base, che lo aveva visitato soltanto 24 ore dopo, prescrivendogli un farmaco sbagliato. Il paziente, poche ore dopo, era stato ricoverato in ospedale per un’ischemia che, negli anni, lo ha portato alla morte. Dopo una causa lunga 14 anni, la Corte di Cassazione ha stabilito che la Asl è tenuta a pagare i danni provocati del ritardo dell’intervento del medico, che nel 2005 si era trasferito in Australia, rendendo molto difficile un’azione legale contro di lui. 
È la prima volta che in Italia viene stabilito un principio che cambierà probabilmente il rapporto di lavoro tra medici di base e pediatri e Asl di competenza – attualmente affidato a un contratto co.co.co – e che potrebbe portare le Aziende sanitarie locali e il Servizio sanitario nazionale a controllare in modo diverso i propri medici e a considerare maggiormente la qualità del servizio offerto ai cittadini.

La vicenda
L’inizio della storia risale al 1997, anno in cui il signor Piero, 58 anni, dirigente d’azienda in pensione di Chivasso (Torino), tornando a casa dopo lo jogging si sente male e avverte un forte dolore alla mano e al braccio sinistro. Come emergerà in seguito, si tratta dei classici sintomi dell’ischemia. Il signor Piero telefona subito al medico di base e, non trovandolo, gli lascia un messaggio in segreteria chiedendo una visita a domicilio e segnalandogli l’urgenza del caso. Il medico lo contatta solo in serata, alle 21.30 e gli consiglia di stare tranquillo e di andare a dormire. Lo visiterà soltanto il giorno successivo, prescrivendogli un calmante. «E’ solo stress», è la diagnosi. Ma di notte, il signor Piero, mentre va in bagno, cade e sviene. Ricoverato all’ospedale Giovanni Bosco di Torino, i sanitari comunicano ai familiari la causa del malore: ischemia cerebrale. Da quel giorno, il dirigente in pensione non si riprende più. Attraversa anni bui, tra ospedali e cliniche di cura. I danni biologici e psichici riportati sono giudicati irreversibili. Il signor Piero muore il sei agosto del 2011.

La causa
La famiglia affronta una lunga causa giudiziaria, seguita, in ambito civile, dagli avvocati Renato Ambrosio, Marco Bona e Umberto Oliva, di Torino, che riescono ad ottenere un risarcimento di 180 mila euro. Ma, soprattutto, spiega l’avvocato Ambrosio, gli avvocati sono soddisfatti perché la Cassazione ha scritto una «sentenza innovativa che in ambito civilistico è in grado di modificare un sistema intero». «Il grosso buco che c’era in sanità – precisa il legale - era generato dal fatto che il medico di base veniva considerato un libero professionista e i danni venivano chiesti solo a lui. Se scappava o non pagava, il paziente non veniva risarcito. Ora sarà la Asl a dover risarcire». 
In primo grado, di fronte al tribunale di Torino, i consulenti tecnici accertarono che se il signor Piero fosse stato ricoverato entro 24 ore, il suo danno sarebbe stato ridimensionato in modo notevole. La Asl fu condannata a risarcire, nonostante avesse sostenuto di non dovere pagare i familiari della vittima «non ricorrendo un rapporto di pubblico impiego» con il medico. In appello invece, non venne stabilito alcun risarcimento perché non sarebbe stato dimostrato, secondo la Corte, il collegamento tra medico e Asl. La Corte di Cassazione, il 27 marzo scorso, ha ribaltato questa tesi sancendo un nuovo principio: che oltre al medico, sia la Asl ad avere delle responsabilità. «È la prima volta che accade in Italia – spiega l’avvocato Marco Bona – la Suprema corte ha stabilito che esiste una legge inequivocabile, quella del 23 dicembre 1978 che istituisce il servizio sanitario nazionale, che dice che la Asl provvede all’assistenza medico generica. Esiste quindi un obbligo ben preciso in capo alle aziende sanitarie».

Il futuro
«L’Asl è responsabile civilmente – scrivono i giudici della Cassazione - ai sensi dell’articolo 1228 del codice civile, del fatto illecito che il medico, con essa convenzionato per l’assistenza medico-generica, abbia commesso in esecuzione della prestazione curativa, ove resa nei limiti in cui la stessa è assicurata e garantita dal Servizio sanitario nazionale in base ai livelli stabiliti secondo la legge». Secondo i legali che hanno assistito gli eredi del signor Piero, «d’ora in poi è prevedibile una maggiore attenzione dalle Asl nei confronti della qualità del servizio di medici e pediatri». «Oltre alle politiche di risparmio di Regioni e Asl – spiegano - forse si terrà maggior conto di altri principi».Colpito da un malore al braccio sinistro dopo una corsa, aveva telefonato al medico di base, che lo aveva visitato soltanto 24 ore dopo, prescrivendogli un farmaco sbagliato. Il paziente, poche ore dopo, era stato ricoverato in ospedale per un’ischemia che, negli anni, lo ha portato alla morte. Dopo una causa lunga 14 anni, la Corte di Cassazione ha stabilito che la Asl è tenuta a pagare i danni provocati del ritardo dell’intervento del medico, che nel 2005 si era trasferito in Australia, rendendo molto difficile un’azione legale contro di lui. 

È la prima volta che in Italia viene stabilito un principio che cambierà probabilmente il rapporto di lavoro tra medici di base e pediatri e Asl di competenza – attualmente affidato a un contratto co.co.co – e che potrebbe portare le Aziende sanitarie locali e il Servizio sanitario nazionale a controllare in modo diverso i propri medici e a considerare maggiormente la qualità del servizio offerto ai cittadini.

La vicenda
L’inizio della storia risale al 1997, anno in cui il signor Piero, 58 anni, dirigente d’azienda in pensione di Chivasso (Torino), tornando a casa dopo lo jogging si sente male e avverte un forte dolore alla mano e al braccio sinistro. Come emergerà in seguito, si tratta dei classici sintomi dell’ischemia. Il signor Piero telefona subito al medico di base e, non trovandolo, gli lascia un messaggio in segreteria chiedendo una visita a domicilio e segnalandogli l’urgenza del caso. Il medico lo contatta solo in serata, alle 21.30 e gli consiglia di stare tranquillo e di andare a dormire. Lo visiterà soltanto il giorno successivo, prescrivendogli un calmante. «E’ solo stress», è la diagnosi. Ma di notte, il signor Piero, mentre va in bagno, cade e sviene. Ricoverato all’ospedale Giovanni Bosco di Torino, i sanitari comunicano ai familiari la causa del malore: ischemia cerebrale. Da quel giorno, il dirigente in pensione non si riprende più. Attraversa anni bui, tra ospedali e cliniche di cura. I danni biologici e psichici riportati sono giudicati irreversibili. Il signor Piero muore il sei agosto del 2011.

La causa
La famiglia affronta una lunga causa giudiziaria, seguita, in ambito civile, dagli avvocati Renato Ambrosio, Marco Bona e Umberto Oliva, di Torino, che riescono ad ottenere un risarcimento di 180 mila euro. Ma, soprattutto, spiega l’avvocato Ambrosio, gli avvocati sono soddisfatti perché la Cassazione ha scritto una «sentenza innovativa che in ambito civilistico è in grado di modificare un sistema intero». «Il grosso buco che c’era in sanità – precisa il legale - era generato dal fatto che il medico di base veniva considerato un libero professionista e i danni venivano chiesti solo a lui. Se scappava o non pagava, il paziente non veniva risarcito. Ora sarà la Asl a dover risarcire». 

In primo grado, di fronte al tribunale di Torino, i consulenti tecnici accertarono che se il signor Piero fosse stato ricoverato entro 24 ore, il suo danno sarebbe stato ridimensionato in modo notevole. La Asl fu condannata a risarcire, nonostante avesse sostenuto di non dovere pagare i familiari della vittima «non ricorrendo un rapporto di pubblico impiego» con il medico. In appello invece, non venne stabilito alcun risarcimento perché non sarebbe stato dimostrato, secondo la Corte, il collegamento tra medico e Asl. La Corte di Cassazione, il 27 marzo scorso, ha ribaltato questa tesi sancendo un nuovo principio: che oltre al medico, sia la Asl ad avere delle responsabilità. «È la prima volta che accade in Italia – spiega l’avvocato Marco Bona – la Suprema corte ha stabilito che esiste una legge inequivocabile, quella del 23 dicembre 1978 che istituisce il servizio sanitario nazionale, che dice che la Asl provvede all’assistenza medico generica. Esiste quindi un obbligo ben preciso in capo alle aziende sanitarie».

Il futuro
«L’Asl è responsabile civilmente – scrivono i giudici della Cassazione - ai sensi dell’articolo 1228 del codice civile, del fatto illecito che il medico, con essa convenzionato per l’assistenza medico-generica, abbia commesso in esecuzione della prestazione curativa, ove resa nei limiti in cui la stessa è assicurata e garantita dal Servizio sanitario nazionale in base ai livelli stabiliti secondo la legge». Secondo i legali che hanno assistito gli eredi del signor Piero, «d’ora in poi è prevedibile una maggiore attenzione dalle Asl nei confronti della qualità del servizio di medici e pediatri». «Oltre alle politiche di risparmio di Regioni e Asl – spiegano - forse si terrà maggior conto di altri principi».