Puglia, farmaci generici anche negli ospedali

Piano della Regione per risparmiare 70 milioni «Basta con l'utilizzo del medicinali più costosi

martedì 19 giugno 2018

La Gazzetta del Mezzogiorno

Le misure straordinarie di contenimento della spesa farmaceutica sono partite dalle farmacie. Ma ora tocca agli ospedali, che dovranno risparmiare almeno 70 milioni l'anno ricorrendo in maniera marcata a generici e biosimilari e introducendo strategie mirate per le prescrizioni. Lo prevede una delibera della giunta regionale che ha effettuato la ricognizione di quanto e soprattutto come si spende per i medicinali ospedalieri: parliamo di 676 milioni di euro, nel 2017, dai quali sono esclusi i farmaci innovativi oncologici coperti da un fondo ad hoc. Di questa somma, quasi un terzo (poco meno di 180 milioni) è destinata ai farmaci antitumorali, altri 145 milioni agli im-munosoppressori, 53 agli antiemorragici e 45 agli antitrombotici. Non si tratta, ovviamente, di li- mitare l'accesso alle cure. Ma, in analogia di quanto è già stato fatto per le prescrizioni dei medici di base, bisognerà da un lato garantire l'utilizzo dei farmaci in base alle linee guida e, dall'altro, sfruttare meglio il potenziale di acquisto del servizio sanitario regionale: ovvero indicendo gare d'appalto aggregate per ottenere sconti maggiori sulle forniture. Tuttavia l'istruttoria condotta dall'assessorato alla Salute ha fatto emergere, in analogia con quanto avviene per i medici di famiglia, un fenomeno tutto pugliese: «Pur essendo disponibili scelte a minor costo di altre, identificabili per lo più in molecole farmacologiche a brevetto scaduto (farmaci generici/biosimilari) all'interno di una stessa categoria di terapeutica, il trend delle prescrizioni mediche della Regione Puglia, rispetto alla media nazionale, è maggiormente orientato verso le scelte te- rapeutiche a più alto costo, determinando il mancato rispetto dei tetti di spesa definiti dallo Stato per l'acquisto diretto di medicinali». Insomma, anche in ospedale si tende a ricorrere al «griffato» anche quando esiste un generico equivalente che costa di meno. Stesso discorso per i farmaci biologici, quelli che costano di più in assoluto. A marzo l'Alfe (l'Agenzia del farmaco) ha chiarito che, ferma restando la responsabilità di scelta del medico, è ammissibile l'intercambiabilità tra farmaco originator e farmaco biosimilare, e questo «tanto per i pazienti naive quanto per i pazienti già in cura». Vuol dire che anche chi è già in trattamento con un biologico «originale», e che fino ad ora per le vecchie linee guida aveva una sorta di diritto a proseguire, può essere trattato con il corrispondente farmaco biosimilare. Un esempio: una cura con l'infliximab (che si usa ad esempio per l'artrite reumatoide) costa circa 1.000 euro al mese, mentre uno dei corrispondenti biosimilari ha un costo inferiore del 30%. E oltre a un risparmio di spesa, il ricorso al biosimilare può garantire a un maggior numero di pazienti la possibilità di essere trattati con un biologico. Spetterà ai direttori generali mettere in pratica le iniziative di contenimento della spesa farmaceutica negli ospedali. Puntando, tra l'altro, anche su strategie di prescrizione che privilegino «l'uso di medicinali con maggior rapporto costo/efficacia»: si tratta, soprattutto nel caso dei trattamenti contro il tumore, di iden- tificare le strategie migliori mettendo allo stesso tavolo medici e farmacisti. In altre Regioni (ad esempio l'Emilia Romagna) lo fanno da oltre un decennio. Ogni centesimo risparmiato sulla spesa farmaceutica, peraltro, verrà destinato al finanziamento delle nuove assunzioni.