Emorragia medici di famiglia, Regioni lasciano invariato numero di borse.

Professione a rischio. Anelli: E' il "de profundis della medicina generale"

venerdì 02 marzo 2018

Doctor 33

Nel 2028 trentatremila medici di famiglia saranno andati in pensione e solo undicimila nuovi medici di famiglia li avranno sostituiti con 14 milioni di persone rimaste senza medico di base oppure con un'assistenza sanitaria insufficiente. È questo il quadro offerto dal presidente della Fnomceo Filippo Anelli dopo che le Regioni «avrebbero deciso, per il prossimo triennio, di lasciare invariato il numero di borse per il Corso di Formazione Specifica in Medicina Generale. Di più: starebbero valutando di ripartire le borse in base a criteri del tutto inadeguati, proporzionandole al numero di residenti o alla ripartizione del Fondo Sanitario Nazionale. Il criterio, invece» sottolinea Anelli «non può essere che quello di sostituire i medici che andranno in pensione con un pari numero di medici formati, per mantenere una proporzione ottimale tra medico di base e pazienti su tutto il territorio nazionale». 

Ma non finisce qui. Il presidente Fnomceo ventila anche il tentativo «in discussione presso il Ministero, di mettere in atto un "task shifting", un trasferimento di competenze dal medico verso altre figure professionali sanitarie, il quadro è completo: non ci resta che rassegnarci a recitare il De profundis per la Medicina Generale». Dalla Conferenza Gimbe il presidente Fnomceo torna sul tema per sottolineare come «senza medici e sanitari non c'è il Sssn, questo è un tema di qualità fondamentale, la carenza dei medici nel sistema può indurre un meccanismo di qualità decrescente e non qualità. Ora si parla addirittura di task-shifting, il trasferimento delle competenze del medico ad altro operatore sanitario, è un meccanismo che può funzionare nei paesi in via di sviluppo, con grave carenza di operatori, in guerra, depauperare il sistema sanitario italiano di medici non pone soltanto un problema di sostenibilità economica ma di sostenibilità della professione e delle cure. I medici sono disponibili a propugnare l'adesione ad un sistema evidence-based di prestazioni, cui tutto il resto è complementare, ma è anche vero che il Ssn dovrebbe chiederci maggiore responsabilità nella gestione, ora che è da ritenersi chiuso il periodo dell'aziendalizzazione l'engagement gestionale del sanitario diventa più importante. Invece oggi la nostra professione esprime un forte disagio, c'è una frattura rispetto ai decisori da cui vogliamo tirarci fuori. Se l'appropriatezza si fa a suon di algoritmi non ci stiamo, se si mette al centro di ogni discussione il rapporto di fiducia come ha affermato anche una recente sentenza della Consulta sull'appropriatezza allora noi siamo pronti a partecipare alla sfida». 

La rassegnazione, però, continua Anelli «non è nelle nostre corde: le soluzioni ci sono, serve ora la volontà di applicarle. Già lo scorso anno Antonio Saitta, coordinatore della Commissione salute della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, aveva assunto formalmente, nell'unica riunione sino ad ora svolta del Tavolo per la Medicina Generale, l'impegno di aumentare il numero di borse. L'Enpam, da parte sua, si è detto disponibile e erogare finanziamenti per lo stesso obiettivo. Alcune Regioni sarebbero aperte ad autofinanziare un certo numero di borse, come già fanno per i contratti delle Scuole di Specializzazione. Tutte queste possibili soluzioni per aumentare il numero di borse saranno messe sul tappeto nella prossima riunione del Tavolo tecnico sulle problematiche in materia di Medicina generale, che, prontamente riattivato dal Ministro Lorenzin, si riunirà venerdì 9 marzo alle 12. Non possiamo però non rivedere anche il criterio di ripartizione, per garantire un corretto ed efficiente turnover dei medici di base. Lanciamo un nuovo appello al Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, ancora a Beatrice Lorenzin e al presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome Stefano Bonaccini, affinché intervengano per far sì che la popolazione non sia privata di questo livello primario di assistenza, facilmente, equamente e capillarmente accessibile, e qualificato per legge come un Lea», conclude Anelli.