Cosa fare durante il congedo parentale?

Un piccolo compendio della normativa riguardante il congedo parentale

sabato 13 gennaio 2018

La Legge per Tutti

Si può licenziare il dipendente, pedinato da un investigatore, per aver fatto altro, rispetto all’accudimento del figlio, durante il congedo parentale?

Non ci si può assentare dal lavoro, chiedendo un congedo, e poi svolgere attività differenti rispetto a quelle per le quali il congedo stesso è stato concesso. Il dipendente che prende i permessi deve anche rispettare le finalità a cui la legge li subordina. L’unica eccezione è prevista per i permessi retribuiti della legge 104, per i quali è stata ormai cancellata l’assistenza continuativa del familiare invalido. Lo ha chiarito la Cassazione con una recente sentenza [1]. La Corte si è soffermata sul caso di un padre che, durante un congedo parentale, era stato colto a fare altro rispetto alla cura del figlio. La giurisprudenza in passato ha comunque esteso lo stesso ragionamento a gran parte dei congedi e dei permessi previsti dalla normativa attuale. Ma procediamo con ordine e vediamo dunque cosa fare durante il congedo parentale.

Indice

1 Congedo parentale: quando?
2 Congedo parentale: a chi presentare domanda?
3 Congedo parentale: quanto viene pagato?
4 Congedo parentale: cosa fare?
5 Permessi della legge 104
Congedo parentale: quando?
Per ogni bambino nei suoi primi otto anni di vita, la legge prevede il diritto dei genitori di chiedere un congedo dal lavoro per dieci mesi, con una indennità calcolata in percentuale sullo stipendio. Il congedo non è obbligatorio, ma a richiesta del dipendente e serve ai genitori per prendersi cura del bambino nei suoi primi anni di vita. Non hanno diritto al congedo i lavoratori sospesi o disoccupati, quelli domestici e a domicilio.

Sia il padre che la madre possono chiedere il congedo parentale nei primi 12 anni di vita del bambino. Il congedo dura per massimo 10 mesi, periodo da ripartire tra i due genitori. Il congedo parentale spetta al genitore richiedente anche qualora l’altro non ne abbia diritto perché disoccupato o lavoratore autonomo.

La madre può usufruire del congedo parentale per massimo sei mesi, una volta utilizzato il congedo obbligatorio di maternità (due mesi prima del parto e tre mesi dopo).

Anche il padre può usufruire di un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi.

In tutto, tra padre e madre, non possono essere sforati i 10 mesi. i. I mesi salgono a 11 se il padre lavoratore si astiene dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato di almeno tre mesi.

In caso di un solo genitore, questi ha diritto a un periodo di congedo – continuativo o frazionato – di massimo dieci mesi.

I genitori possono fruire del congedo parentale anche contemporaneamente, per stare entrambi vicini al bambino.

Ai lavoratori dipendenti che siano genitori adottivi o affidatari, il congedo parentale spetta con le stesse modalità dei genitori naturali, quindi entro i primi 12 anni dall’ingresso del minore nella famiglia indipendentemente dall’età del bambino all’atto dell’adozione o affidamento e non oltre il compimento della sua maggiore età.

In caso di parto, adozione o affidamento plurimi, il diritto al congedo parentale spetta alle stesse condizioni per ogni bambino.

Congedo parentale: a chi presentare domanda?
La domanda per il congedo parentale va fatta entro un anno dal giorno successivo alla fine del periodo indennizzabile e deve essere presentata all’Inps.

La domanda va inoltrata prima dell’inizio del periodo di congedo richiesto. Se viene presentata dopo saranno pagati solo i giorni di congedo successivi alla data di presentazione della domanda.

Il pagamento dell’indennità viene anticipata dal datore di lavoro che poi ne ottiene la restituzione dall’Inps.

Congedo parentale: quanto viene pagato?
Ai genitori lavoratori dipendenti spetta:

un’indennità pari al 30% della retribuzione media giornaliera, calcolata in base alla retribuzione del mese precedente l’inizio del periodo di congedo, entro i primi sei anni di età del bambino (o dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento) e per un periodo massimo complessivo (madre e/o padre) di sei mesi;
un’indennità pari al 30% della retribuzione media giornaliera, dai sei anni e un giorno agli otto anni di età del bambino (o dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento), solo se il reddito individuale del genitore richiedente è inferiore a 2,5 volte l’importo annuo del trattamento minimo di pensione ed entrambi i genitori non ne abbiano fruito nei primi sei anni o per la parte non fruita anche eccedente il periodo massimo complessivo di sei mesi;
nessuna indennità dagli otto anni e un giorno ai 12 anni di età del bambino (o dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento).
Congedo parentale: cosa fare?
Durante il periodo di congedo parentale il genitore deve occuparsi unicamente del figlio e non può svolgere altre attività personali, come ad esempio un secondo lavoro. Questo non vuol dire restare tutte le 24 ore a casa insieme al bambino ma neanche assentarsi metà giornata per svolgere altri compiti. E ciò anche se la madre è presente insieme al figlio e i due si alternano nelle attività extra domestiche (ad esempio fare la spesa o comprare le medicine).

Se il genitore trascura la cura del figlio per dedicarsi a qualunque altra attività che non sia in diretta relazione con detta cura pone in essere un abuso del diritto di congedo parentale, uno sviamento dalla funzione tipica per cui tale permesso viene concesso. Pertanto, violando un obbligo di correttezza nei confronti del datore di lavoro, può essere licenziato. Il datore può incaricare gli investigatori privati di pedinare il dipendente per verificare cosa fa durante la giornata; la loro testimonianza potrà poi essere utilizzata per giustificare il licenziamento per giusta causa (ossia in tronco).

Con questi importanti precisazioni, la Cassazione ha chiarito cosa fare durante il congedo parentale. Il fatto che tale istituto sia un diritto per il dipendente non significa che può essere utilizzato a proprio piacimento e senza controlli. Infatti, «in presenza di un abuso del diritto», il datore di lavoro è «privato ingiustamente della prestazione lavorativa del dipendente e sopporta comunque una lesione dell’affidamento da lui riposto nel medesimo», oltre alla «indebita percezione dell’indennità e lo sviamento dell’intervento assistenziale nei confronti dell’ente di previdenza».

Ciò accade «allorché il diritto venga esercitato non per la cura diretta del bambino, bensì per attendere ad altra attività di lavoro, ancorché incidente positivamente sulla organizzazione economica e sociale della famiglia». «Ma analogo ragionamento – continua – può essere sviluppato anche nel caso sottoposto in cui il genitore trascuri la cura del figlio per dedicarsi a qualunque altra attività che non sia in diretta relazione con detta cura». «Ciò che conta non è tanto quel che il genitore fa nel tempo da dedicare al figlio quanto piuttosto quello che invece non fa nel tempo che avrebbe dovuto dedicare al minore».

Già la Corte costituzionale aveva detto in passato che [2] la tutela della paternità «si risolva in misure volte a garantire il rapporto del padre con la prole in modo da soddisfare i bisogni affettivi e relazionali del bambino al fine dell’armonico e sereno sviluppo della sua personalità e del suo inserimento nella famiglia». «Tutte esigenze che, richiedendo evidentemente la presenza del padre accanto al bambino, sono impedite dallo svolgimento dell’attività lavorativa (quella rispetto alla quale si chiede il congedo) e impongono pertanto la sospensione di questa, affinché il padre dedichi alla cura del figlio il tempo che avrebbe invece dovuto dedicare al lavoro».

Sul punto la Cassazione ha detto [3] che, seppur non è obbligatoria una perfetta coincidenza tra le ore in cui il dipendente avrebbe dovuto lavorare e quelle in cui deve stare con il figlio, non è neanche ammissibile una cura indiretta del bambino, ossia per interposta persona (la madre), mediante il solo contributo ad una migliore organizzazione della vita familiare.

Permessi della legge 104
Diverso è l’orientamento con riferimento all’utilizzo dei permessi della legge 104: in questo caso – ha chiarito la Cassazione – è stata abrogata l’assistenza continuativa e, fermo restando il divieto per il dipendente di utilizzare tutto il giorno di permesso per propri scopi, non ha tuttavia l’obbligo di una presenza costante nel corso delle ore non lavorate.

[1] Cass. sent. n. 509/2018 dell’11.01.2018.

[2] C. Cost. sent. nn. 371/2003; 385/2005.

[3] Cass. sent. n. 16207/2008.