Farmaco sostituito: è responsabile il medico o il farmacista?

La Cassazione interviene con una interessante sentenza

venerdì 07 novembre 2014

(Dott-Net - Altalex) Nei giorni scorsi è tornata d'attualità una sentenza della Cassazione del 2008 (n. 8073 del 28 marzo) per un caso analogo che vale la pena riprendere. Il giudizio di allora aveva sancito che il farmacista, non abilitato all’esercizio della prescrizione medica, non è autorizzato a sindacare i trattamenti terapeutici – farmacologici prescritti dal medico curante, dovendosi viceversa attenere a quanto prescritto da quest’ultimo. Ne deriva, pertanto, che il farmacista, al quale sia stata presentata una precisa ricetta medica, non è neppure tenuto ad accertare se la posologia del farmaco prescritto sia effettivamente corrispondente alle particolari esigenze terapeutiche del paziente. 

I figli di un'assistita fanno causa ad un farmacista (clicca qui per leggere la sentenza completa) esponendo che la madre, dopo essersi sottoposta ad una delicata operazione chirurgica presso un ospedale, aveva trascorso un periodo di convalescenza presso un’altra clinica da dove era stata dimessa con la prescrizione di assumere, tra gli altri, un farmaco anticoagulante (il warfarin) in misura di “3/4 di compressa al dì”. Il medico di base, nel compilare la ricetta, le aveva invece erroneamente prescritto l’assunzione di 3 compresse al giorno, e non , come aveva richiesto il medico della clinica, “tre quarti di compressa”. Il farmacista aveva anche apposto sulla confezione del farmaco la scritta “1+1+1”, inducendo così la paziente ad un uso in sovradosaggio del medicinale che le ha provocato il decesso. 

Ebbene, la suprema Corte ha respinto la domanda di risarcimento avanzata dai parenti della defunta contro il farmacista perché:

1) a fronte della precisa indicazione del medico, il farmacista non aveva certo il compito di verificare se la posologia del farmaco prescritto fosse effettivamente corrispondente alle particolari esigenze terapeutiche della paziente;

2) l’apposizione (meramente confermativa della dose prescritta dal medico) sulla scatola del farmaco della scritta “1+1+1” era irrilevante, poiché quel dosaggio ben poteva rientrare nell’ambito di una terapia di mantenimento, consentita nella misura massima di 15 milligrammi (corrispondenti, appunto, alle tre capsule).

Tutto bene per il farmacista, dunque, ma qual è stata la esponsabilità del medico che, secondo i giudici, sarebbe dovuto essere il destinatario della richiesta? La Corte conclude così il suo ragionamento: “è impredicabile una qualsiasi forma di responsabilità in capo al farmacista, inspiegabilmente evocato in un giudizio di responsabilità che pur avrebbe avuto un ben preciso destinatario, in persona del medico di base autore della erronea prescrizione farmacologia”. Inoltre, è bene ricordare, che l’obbligo di seguire quanto prescritto dal medico incontra l’unico e legittimo limite nell’ipotesi in cui il farmacista rilevi la prescrizione di sostanze velenose a dosi non medicamentose o pericolose. In tal caso il farmacista deve esigere, ai sensi art. 40 del regolamento per il servizio farmaceutico n. 1706 del 1938, che il medico “dichiari per iscritto che la somministrazione avviene sotto la sua responsabilità, previa indicazione dello scopo terapeutico perseguito”.