Orario di lavoro medici: l'Ue rinuncia alle procedure contro l'Italia

Lorenzin: «Noi siamo in infrazione europea», ma «se applicassimo la direttiva Ue dovremmo chiudere i pronto soccorso»

venerdì 19 dicembre 2014

Il lungo braccio di ferro tra ministero della Salute e Unione Europa sull'orario di lavoro dei medici pubblici è finito con l'archiviazione da parte della Commissione del ricorso contro l'Italia. 

Il 16 dicembre scorso, la Commissione Europea ha rinunciato al ricorso proposto dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nell’ambito della procedura di infrazione aperta nei confronti dell’Italia, per contrasto della normativa italiana sull’orario di lavoro dei medici e del personale del ruolo sanitario del Servizio Sanitario Nazionale, rispetto alla normativa europea di riferimento. La relativa procedura di infrazione è dunque da considerarsi chiusa. 

La decisione della Commissione fa seguito all’approvazione della c.d. legge europea 2013-bis, nell’ambito della quale è stata inserita, su richiesta del Ministro Lorenzin, un’apposita disposizione volta a risolvere la citata procedura di infrazione. Tale disposizione è finalizzata, da un lato, a ripristinare, nei confronti dei medici e del personale del ruolo sanitario del Servizio Sanitario Nazionale, i diritti previsti dalla legislazione europea in materia di orario di lavoro e, dall’altro, a garantire comunque la continuità nell’erogazione dei servizi sanitari e l’ottimale funzionamento delle strutture, a tutela della salute dei cittadini.
 

Grande clamore nei mesi scorsi c'era stato sul lavoro dei medici. A lamentarsi non furono i sindacati, ma la Commissione europea che aveva deciso di deferire il nostro Paese alla Corte di Giustizia dell’Ue appunto per non aver applicato correttamente la direttiva sull’orario di lavoro ai camici bianchi operanti nel servizio sanitario pubblico. Secondo l’istituzione comunitaria la normativa nazionale priva gli specialisti del loro diritto a un limite nell’orario lavorativo settimanale e a un minimo di periodi di riposo giornalieri. La direttiva prevede, in particolare, il limite di 48 ore per l’orario lavorativo settimanale medio e il diritto a periodi minimi giornalieri di riposo di 11 ore consecutive. Secondo le norme italiane, però, tali limiti non si applicano ai «dirigenti» operanti nel Servizio sanitario nazionale. Una anomalia per la quale la Commissione Ue ha inviato nel maggio 2013 all’Italia un parere motivato in cui si chiedeva di adottare le misure necessarie per assicurare che la legislazione nazionale ottemperasse alle regole già applicate nel resto dei Paesi membri.
 

Dott-Net  Sulla scorta delle denunce alla fine era arrivato il deferimento alla Corte Ue con grande soddisfazione dalle associazioni dei medici e dai sindacati, che avevano denunciato come il mancato rispetto dei limiti degli orari di lavoro «sia in vari casi dovuto alla carenza di personale», che obbliga i medici ad «allungare i turni». Il problema è che questa non è una questione «formale, poiché in gioco è la sicurezza stessa dei pazienti», rilevava il presidente del Collegio italiano dei chirurghi, Nicola Surico: «Medici e chirurghi spesso sono costretti a prolungare il proprio orario perché manca il personale, ma è ovvio che così aumenta il rischio degli specialisti di incorrere in errori». Un rischio che veniva confermato pure da Costantino Troise, segretario del maggiore sindacato dei medici dirigenti, l’Anaao-Assomed: «Le statistiche dimostrano che la maggior parte degli errori medici avviene proprio al cambio turni o a fine turno – rivelava per l'occasione il sindacalista -. Il che vuol dire che il periodo di riposo, per l’attività specifica del medico, non è indifferente ai fini della sicurezza». È stato fatto dunque «un abuso - commentava Troise - escludendo i nostri medici dirigenti dall’applicazione della direttiva».
 

Il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, sull’obbligo dei tempi di riposo per i medici aveva notato: «Noi siamo in infrazione europea», ma «se applicassimo la direttiva Ue dovremmo chiudere i pronto soccorso». Amara era stata la conclusione del ministro: «In questo momento ci sono lavoratori pubblici che fanno grandissimi sacrifici. Il sistema si regge grazie a una grande responsabilità da parte di tutti».