No ad una medicina amministrata, che dimentica la dimensione umana del paziente

Si va facendo strada una cultura orientata a condizionare il medico nelle sue scelte, subordinandolo alla politica.

sabato 14 ottobre 2017

Il nuovo regolamento regionale di disciplina delle prescrizioni farmaceutiche e il ddl Lorenzin sono il frutto di una cultura che assegna al medico il ruolo di tecnico della Sanità. Una cultura orientata a condizionare il medico nelle sue scelte, subordinandolo alla politica, e che dimentica la dimensione clinica dell’atto medico e quella umana di risposta al bisogno di salute del cittadino.
 
Bari, 14 Ottobre 2017. Le recenti disposizioni della giunta regionale in merito al Regolamento di "Disciplina per le prescrizioni farmaceutiche" (DGR 1452 del 25/09/2017), mirate al controllo della spesa farmaceutica, sono solo la più recente espressione di una cultura che si va imponendo oltre che a livello nazionale anche regionale. Partendo dall’esigenza del controllo della spesa nella gestione del servizio sanitario, assegna al medico il ruolo di tecnico della Sanità, condizionandolo e sottoponendo la sua attività alle decisioni della politica. È una cultura che in nome della sostenibilità del servizio sanitario nazionale - proposizione condivisa da tutti, anche dai medici - in realtà nasconde l'obiettivo di ingabbiare l’atto medico in una rigida griglia burocratica, che ne limita la libertà e l'autonomia e riduce la sua attività al rispetto di parametri e indicatori, senza tenere in considerazione la complessità dell'atto che il medico compie in ragione del bisogno di salute del paziente.
 
È testimonianza di questo orientamento, diffuso a livello nazionale, anche la mancata risposta alle proposte avanzate dalla Fnomceo sul ddl Lorenzin, che ha segnato un momento di svolta nella professione medica e condotto per la prima volta la Federazione a chiamarsi fuori da tutti i tavoli istituzionali, sia a livello nazionale che a livello regionale. Una decisione sofferta, che vuole denunciare come l’ingerenza della politica parta dalla convinzione che la professione medica debba essere amministrata e soggetta a regole limitative, di fatto, della sua libertà e autonomia. Non si tratta di un’‘accusa generica’, come dimostra l’apprezzamento dato dai medici al testo licenziato al Senato – su cui Fnomceo aveva proposto puntuali interventi migliorativi - stravolto in commissione alla Camera. I rappresentanti della professione hanno sempre condiviso la necessità di una riforma delle regole che normano la vita degli ordini e hanno sempre cercato a questo proposito un dialogo aperto con la politica, affinché il disegno di legge in discussione corrispondesse alle reali esigenze e al miglioramento del sistema. La legge di riforma degli ordini doveva essere l’occasione per ridare forza e peso specifico alla qualità della professione, nell’interesse dei cittadini e del loro diritto alla salute. Invece, si limita essenzialmente a modificare i meccanismi elettorali delle cariche ordinistiche.
 
Quest’idea di medicina amministrata e i provvedimenti che ne derivano, limitando fortemente l’esercizio della professione, in realtà limitano il diritto alla salute dei cittadini. Le decisioni della Regione Puglia sul farmaco invece di tenere conto dei problemi dei pazienti e della capacità clinica del medico nel comprenderne i bisogni, interpretano l’appropriatezza come un algoritmo a cui il professionista deve affidarsi per le prescrizioni, con buona pace del primato della persona, del cittadino al centro del sistema e dell’umanizzazione delle cure. Una scelta, condivisibile in linea di principio, come il consentire ai medici ospedalieri di fare prescrizione ai pazienti in dimissione su ricetta rossa, viene presa unilateralmente, senza interpellare chi opera quotidianamente sul campo e che potrebbe evidenziare criticità e suggerire possibili soluzioni condivise. Soprattutto, la decisione viene presa senza prima aver risolto carenze organizzative e di personale che costringono i medici ospedalieri a lavorare in condizioni insostenibili e che determinano disservizi e aumento generalizzato della conflittualità. Conflittualità tra medici e cittadini, tra medici di famiglia e ospedalieri. Si tratta di un provvedimento che ha un obiettivo previsto per legge e sottoscrivibile ai fini del contenimento della spesa - l’obbligo, non ottemperato dalle strutture sanitarie, di fornire ai pazienti in dimissione i farmaci per il primo ciclo di terapia – ma che, ancora una volta, cerca di mettere una pezza su carenze organizzative scaricandone le conseguenze sui medici e indirettamente sui cittadini, che andranno incontro a disagi. Non sarebbe stato meglio interpellare prima i rappresentanti della professione per individuare una soluzione al problema condivisa con chi opera all’interno del servizio sanitario?
 
“Invito tutti i colleghi a non cedere a questa logica di divisione della categoria – afferma Filippo Anelli, Presidente dell’Ordine dei medici di Bari – “Oggi è importante che medici di famiglia, medici ospedalieri e specialisti si ritrovino insieme per esigere dignità per la professione. Invito inoltre i cittadini ad essere vicini ai medici, il cui operato, portato avanti con dedizione e sacrificio, è la miglior tutela del diritto alla salute del paziente. Combattiamo insieme questa cultura diffusa di medicina amministrata che, concentrata sul contenimento della spesa e sulla rendicontazione delle prestazioni, dimentica il malato, le sue sofferenze, la sua dimensione umana”.