Psichiatra uccisa Le accuse alla Asl

Il pm: Paola Labriola poteva essere salvata «Struttura a rischio», sette indagati

venerdì 10 aprile 2015

Vincenzo Damiani  (Corriere del Mezzogiorno)

Pur essendo consapevole che il Centro di salute mentale (Csm) di via Tenente Casale fosse una «struttura ad elevato rischio» e fosse a conoscenza «della situazione di pericolo» per i dipendenti, l'ex direttore generale dell'Asl di Bari, Domenico Colasanto, omise di installare «un sistema di videosorveglianza», un «metal detector» o di prevedere all'esterno «un servizio di vigilanza».

Per il pm della Procura barese, Baldo Pisani, l'omicidio della psichiatra Paola Labriola si sarebbe potuto evitare con qualche accorgimento dal punto di vista della sicurezza. Il magistrato inquirente ha chiuso le indagini sulle presunte responsabilità indirette dei vertici amministrativi e politici sulla tragica morta della dottoressa: la donna, il 4 settembre del 2013, venne uccisa con oltre 70 coltellate da un suo paziente, Vincenzo Poliseno, condannato a 30 anni.

Nell'avviso di conclusione delle indagini notificato dagli investigatori della squadra mobile, oltre a Colasanto compaiono i nomi di altre 6 persone: quello di Davide Filippo Pellegrino, ex capo di Gabinetto della Regione Puglia e attuale direttore generale del Comune di Bari, e dei dipendenti dell'Asl, Pasquale Nicola Bianco, Alberto Gallo, Antonio Ciocia e Giorgio Saponaro. I reati contestati, a vario ti-tolo, agli indagati sono omissione di atti d'ufficio, falso, indebita induzione a dare o promettere un'utilità e abuso di ufficio.

Secondo la ricostruzione del pm Pisani e della squadra mobile, dopo l'assassinio della psichiatra Colasanto obbligò Gallo, minacciandolo di non rinnovargli il contratto di lavoro con l'azienda sanitaria, a predisporre falsi documenti di valutazione dei rischi (Dvr) per tutti i centri di salute mentale di Bari, atti che sino a quel giorno non erano mai stati redatti come invece prescrive la legge. I dvr fasulli furono elaborati, secondo la Procura, da Gallo, Bianco e Lucarelli. Ciocia e Saponaro, invece, avrebbero aiutato Colasanto nell'opera di convincimento nei confronti di Gallo affinché venissero preparati questi documenti falsi.

Diversa è la posizione di Davide Pellegrino, all'epoca dei fatti capo di Gabinetto di Nichi Vendola: secondo il pm Pisani, Pellegrino avrebbe agevolato Colasanto, coprendolo e permettendogli di evitare di essere arrestato, mantenendo allo stesso tempo l'incarico. Come? I due si sarebbero messi d'accordo sulla momentanea sospensione di Colasanto da direttore generale. In sostanza, Colasanto con una mail avrebbe rimesso nelle mani di Vendola il suo mandato, sapendo già che le dimissioni sarebbero state rigettate e che sarebbe stato sospeso per 60 giorni. Vincenzo Damiani