«Il più grande investitore in startup? Noi medici. E vi spiego perché»

Oliveti, presidente di Enpam, spiega la maxi adesione (150 milioni di euro) dell’Ente al fondo Principia III

giovedì 13 agosto 2015

Luca Barbieri (Corriere Innovazione)

I 150 milioni di euro investiti nel fondo Principia III fanno di lui il più grande venture capitalist italiano. Ma Alberto Oliveti, medico di famiglia a Senigallia, lo è in un ruolo del tutto particolare: 62 anni appena compiuti, Oliveti è appena stato rieletto presidente della Fondazione Enpam, l’ente previdenziale dei medici e dei dentisti italiani, una delle casse più ricche del Paese.
Dopo una stagione tormentata, che ha coinvolto la Cassa anche dal punto di vista giudiziario, quella di Oliveti è stata prima la stagione della stabilizzazione (con riforme sulla gestione del patrimonio, della previdenza e dello Statuto) ed ora del rilancio. Che passa anche per un investimento imponente deliberato a fine 2014, ma fatto passare un po’ sotto traccia. Il fondo Principia III, che ha una dotazione complessiva di 160 milioni di euro (ad Enpam si è affiancata con 10 milioni la Cassa dei commercialisti) è dedicato all’ambito «Health», biomedicale e life science, e a giugno ha formalizzato il suo primo investimento: tre milioni di euro in Wise, startup che produce elettrodi in silicone biocompatibile contro epilessia e dolore cronico.

Presidente Oliveti, l’investimento che avete fatto l’anno scorso fa di voi il più grande investitore italiano in startup e ricerca. Come siete arrivati a questa scelta?
«La filosofia è semplice: noi come Fondazione Enpam siamo nel welfare con le mani e con i piedi. Welfare per noi significa sanità, protezione sociale e lavoro. Una fondazione come la nostra, che gestisce i contributi di medici e dentisti non può non investire nel rinnovamento del welfare: in un sistema che appare chiuso l’unica scintilla che può aprire mercati paralleli e spazi per il futuro è l’innovazione. E noi, con questo fondo, vogliamo investire nel suo presupposto: la ricerca e i giovani».

In che senso pensate che il vostro investimento possa aiutare i giovani?
«In Italia, nel campo medico, noi produciamo degli ottimi professionisti. Solo che in gran parte li regaliamo, già formati, all’estero. Il nostro scopo è anche quello di fermare questo flusso e di invertirlo. Perché il problema è che in Italia manca una parte dell’ecosistema: abbiamo i campioni della ricerca ma non abbiamo il campo da gioco. L’Italia dimostra di sapere fare di ricerca a livelli eccellenti in tutto il mondo, ma dove li facciamo giocare poi questi campioni se nel mercato mancano i soldi? La fondazione Enpam vuole aiutare a coprire questo buco: sappiamo bene che i fondi dei nostri iscritti sono destinati anche a tenere in piedi il patto generazionale, ovvero a garantire le future prestazioni pensionistiche per chi è già nel mercato del lavoro ma anche favorire quel lavoro dal quale nascono i contributi. Allora se voglio investire nel lavoro del futuro, io ora devo investire in ricerca, creare lavoro per quei giovani del patto generazionale. E’ in ultima analisi un investimento in noi stessi e nella nostra categoria».

La cifra che mettete in campo fa di voi l’investitore più grande nel Venture Capital italiano. Vi aspettate dei compagni di viaggio?

«Sì, perché in Italia dobbiamo trovare le forze al nostro interno. Altri Paesi ci stanno osservando interessati ad investire, ma sono ancora comprensibilmente frenati dai nostri limiti d’immagine e di sostanza: limiti giuridici, di corruzione, nepotismo. E’ un delitto perché gli italiani quando vanno nel mondo si fanno valere, nel campo della ricerca la nostra capacità di pensare laterale è importante».

Vi aspettereste anche un intervento da parte dello Stato?
«L’intervento dello Stato , se viene fatto con le logiche che hanno guidato gli interventi negli anni passati, evitiamolo pure. Ma pongo, e mi pongo, una domanda: si sostiene di più lo Stato Italiano comprando titoli di Stato o investendo sull’innovazione e sulla ricerca? Se la risposta è la seconda, è corretto che il trattamento fiscale sia così diverso? Un’Italia che si vuole rilanciare non può tassare in modo uguale i Bot (12,5%) e gli investimenti in startup innovative (26%). Devono riportare la tassazione sul capital gain derivante da investimenti in ricerca e innovazione a quella dei Bot. Io personalmente se potessi sceglierei tutta la vita di rischiare su dei giovani che operano nel mio campo piuttosto che sui mercati o per sostenere un debito sviluppato da modalità di investimento che hanno prodotto poi questo sistema».

A proposito di rischio, l’investimento in ricerca e startup è decisamente ad alto rischio. Come ha convinto gli iscritti all’Enpam?
 «Agli iscritti ho spiegato che ci sono potenzialità per guadagnare e male che vada, alla fine di tutto, avremo fatto lavorare il nostro mondo, avremo dato lavoro ai nostri giovani. E poi, è vero, la cifra di 150 milioni è grossa, ma rappresenta meno dell’1% del patrimonio dell’ente. Certo, per avere un ritorno, ci vogliono tempi adeguati: non si può pensare di avere dei risultati in pochi mesi. Ma sono sicuro che alla fine di questo mandato quinquennale qualcosa lo cominceremo a vedere». 

Il settore delle biotecnologie, e la strabiliante exit di Eos lo dimostra, è quello che dà il maggior ritorno all’innovazione italiana. Quali sono i campi che intendete supportare con il vostro investimento?

«Le vie da percorrere sono quattro. La prima sono le nanobiotecnologie:tutto quello che è miniaturizzato e porta più intelligenza possibile lì dove avviene l’evento traumatico è l’obiettivo finale. Altro campo è la robotica: esoscheletri, protesi, supporto bionico. Terza area è quella della diffusione dei dati e della conoscenza. Ancora oggi sprechiamo soldi per la duplicazione di dati e informazioni Il campo dell’evoluzione informatica mette in condizioni di ridurre al minimo gli sprechi. E poi la farmaceutica, nella quale abbiamo una grande tradizione».

Questa uscita solleticherà gli appetiti di molti...
«Spero di no, perché se si parla di appetiti allora vuol dire che qualcuno vuole mangiarci su. Io spererei che il nostro impegno induca uno stimolo intellettuale, la voglia di innovare. C’è del capitale in Italia che può finanziare buon pensiero, qualcuno che voglia immaginare in grande, magari reinventare la penicillina».