Un filtro al pronto soccorso da domani lavori d’urgenza

Policlinico, trasloco al triage e nuova sala per i parenti

domenica 08 settembre 2013

Francesca Russi (Repubblica BA)

Nelle immagini delle telecamere di videosorveglianza si vedono due giovani entrare al pronto soccorso dal retro e aspettare il proprio turno. Uno dei due, il paziente, si siede su una sedia a rotelle mentre l’accompagnatore rimane in piedi. Sono tranquilli finché un infermiere chiede loro di cambiare ambulatorio per l’arrivo di una donna in barella con il femore fratturato. È allora che si scatena la furia. Il primo a inseguire l’infermiere, fino al triage, è l’accompagnatore, poi si alza anche il paziente e, insieme, picchiano con schiaffi e pugni l’operatore sanitario. I video della brutale aggressione, venerdì mattina, al pronto soccorso del Policlinico di Bari, sono stati acquisiti dagli agenti del posto di polizia dell’ospedale, guidati da Nicola Catacchio, e consegnati ieri alla procura di Bari. Il paziente, pregiudicato 30enne di Japigia, è stato identificato e denunciato, ma ora è caccia al secondo aggressore che, subito dopo il pestaggio, è scappato. Le indagini, dunque, proseguono e, al Policlinico, vanno avanti anche le polemiche.

Il giorno dopo l’aggressione, medici e infermieri sono tutti spaventati. “Non possiamo lavorare con la paura addosso – protestano – vogliamo adeguate misure di sicurezza”. Non si fa attendere la risposta del direttore generale Vitangelo Dattoli. “Cominceranno subito i lavori, già previsti a giugno, per rendere più facile il filtro dei pazienti e l’attesa dei parenti, sposteremo il triage all’ingresso e sistemeremo una sala per i parenti, perché possano aspettare senza entrare negli ambulatori”. I lavori, annuncia la direzione, cominceranno già domani. Ma non è l’unica misura che il Policlinico adotterà. “Completeremo gli ultimi reclutamenti con 10 infermieri e 1-2 medici per diminuire i tempi di attesa – spiega Dattoli – e miglioreremo la presenze della guardie giurate, ma non possiamo militarizzare una struttura sanitaria.

Sono previsti per gli operatori anche corsi di umanizzazione ed empatia. Il vero problema, però, è quello degli accessi: sono oltre 80mila l’anno i pazienti che si rivolgono al pronto soccorso del Policlinico e nel 60-70% dei casi si tratta di codici bianchi e verdi per i quali è inutile venire al pronto soccorso, basterebbe chiamare il proprio medico. È normale che le emergenze abbiano la priorità e che l’attesa, con la presenza dicodici rossi, si allunghi”.

È della stessa opinione il primario Francesco Stea. (foto) “Vengono tutti da noi, siamo il vero welfare, ci sono anche 60-70 persone la mattina – spiega il dirigente del pronto soccorso – ma, con la riorganizzazione degli accessi, creeremo un’area di attesa adhoc per i pazienti che sarà controllata da tre infermieri e, di volta in volta, i pazienti saranno chiamati in ambulatorio con l’interfono. A breve sarà trasferito al pronto soccorso anche l’ambulatorio ortopedico, almeno nella fascia oraria 8-14, per velocizzare i tempi ed evitare trasferimenti e attese”. A stemperare la tensione, al pronto soccorso, arriva una buona notizia. “Siamo riusciti a salvare una paziente che era già in arresto cardiaco – racconta Stea – questo ci riconcilia con il nostro lavoro”.

L’intervista
Parla l’operatore sanitario pestato selvaggiamente durante l’orario di servizio: “Così non si può fare”

“Io, infermiere picchiato con furia non so se ora tornerò al mio lavoro”
DAGLI occhiali da sole spunta una benda, proprio sotto l’occhio. Ha le labbra gonfie e una ferita sul volto, oltre a diversi lividi sul corpo. «Lussazione dei denti, ferita lacero- zigomatica ed ecchimosi varie. In totale una prognosi di 30 giorni» elenca tutte le ferite. Parla piano l’infermiere picchiato venerdì mattina al pronto soccorso del Policlinico di Bari. Si è appena ripreso dallo shock del pestaggio. Accanto c’è sua moglie, anche lei infermiera al Policlinico. Sono tutti e due arrabbiati perché, ripetono, «lavorare così proprio non si può». L’omicidiodella psichiatra Paola Labriola è successo solo poche ore prima e in ospedale sono ancora tutti scossi. Poi, venerdì la furia di un paziente è esplosa anche alpronto soccorso.

Cosa è successo esattamente venerdì mattina?
«Era arrivata un’altra paziente e io ho detto ai due giovani di cambiare ambulatorio e di aspet-tare, perché c’era una priorità. L’accompagnatore prima ha cominciato a insultarmi pesantemente, poi mi ha raggiunto fino al triage…»

Lì l’ha picchiata?
«Sì, prima uno, poi l’altro. In due. Non ho capito più niente. Ho avuto un annebbiamento».

Lei ha provato a reagire?
«Ho una divisa addosso, sono un sanitario io. Faccio l’infermiere e le curo le persone, non potevo reagire».

Cos’ha pensato in quel momento?
«Ho avuto paura. Sa, l’omicidio della psichiatra Paola Labriola è avvenuto proprio a pochi passi da casa mia madre».

È la prima volta che le capita una cosa del genere?
«No. Io lavoro al pronto soccorso del Policlinico da quasi dieci anni, dal 2004, e ne ho viste tante. Qualche mese fa un altro collega è stato picchiato. Un mese fa è toccato ad altri infermieri. A ognuno di noi è capitato qualcosa. Succede di continuo. Non siamo tutelati per niente dal punto di vista della sicurezza».

Cos’è che scatena le reazioni violente da parte dei pazienti?
«I tempi di attesa e le priorità. Non capiscono che noi, medici e infermieri, lavoriamo di continuo, e lo facciamo per loro. Non è che si può venire al pronto soccorso e pretendere di aspettare solo cinque minuti, soprattutto quando ci sono urgenze da gestire. La gente ha bisogno di noi e ci deve rispettare».

Adesso cosa farà? Tornerà a lavoro tra un mese quando si rimetterà?
«Se torno…non lo so. Non si può lavorare così, non c’è sicurezza, non si può lavorare così. Non ci sentiamo protetti. Anche mia moglie lavora al pronto soccorso, anche lei è infermiera, ma venerdì mattina non era in servizio, quando l’ha saputo è corsa qui preoccupatissima».

E' un lavoro in prima linea il vostro.
«Sì, è vero, io devo lavorare come se facessi parte delle forze dell’ordine: mi devo alzare la mattina, fare il segno della croce prima di uscire di casa e pregare che non mi succeda niente. E soprattutto sperare di tornare a casa».

Cosa chiedete?
«Vogliamo più sicurezza. Non dobbiamo aspettare che succedano questi episodi perché la direzione sanitaria si muova».