Rifiuto di prescrivere i farmaci - Reato di rifiuto di atti di ufficio

La terapia per una malattia oncologica grave non puo' essere interrotta

giovedì 20 luglio 2017

Cassazione Penale Sentenza n. 35233/2017 – MMG -  Rifiuto di prescrivere i farmaci - Reato di rifiuto di atti di ufficio - Nella ricostruzione della sentenza impugnata assume rilievo la valutazione della doverosità e della indifferibilità della prescrizione terapeutica richiesta al’imputato perché relativa ad una terapia oncologica in corso, a lui ben nota,che non poteva subire interruzioni, necessaria per la cura della grave patologia dalla quale la persona offesa era affetta, terapia già prescritta dal medico specialista che seguiva la denunciante, assunto questo non smentito dall’imputato che, al fine di giustificare la condotta omissiva, non ha mai neppure addotto contrarie indicazioni di carattere terapeutico.

Le circostanze di fatto illustrate nella sentenza impugnata connotano, pertanto, una situazione di urgenza sostanziale, impositiva del compimento dell’atto, in modo tale che l’inerzia del pubblico ufficiale assume la valenza del consapevole rifiuto dell’atto medesimo, in presenza di una situazione di indifferibilità dell’atto richiesto, rapportata alla sussistenza di un effettivo pericolo di conseguenze dannose alla salute della persona, indifferibilità che va correlata al potere demandato al sanitario di decidere sulla necessità della terapia ma che non integra una valutazione discrezionale del medico e che si è risolta in un indebito comportamento omissivo giustificato dall’imputato sulla base di generici richiami, rivelatisi del tutto infondati, al rispetto dell’orario di visita e alla copertura farmacologica delle precedenti prescrizioni rispetto alle necessità della paziente di non interrompere la terapia in corso.

FATTO E DIRITTO: La Corte di appello di Lecce, in riforma del locale Tribunale, ha assolto (Omissis) dal reato di cui all’art. 610 cod.pen. commesso il 17 maggio 2010 e dal reato di cui all’art. 594 cod. pen. e, riqualificato come delitto tentato di cui all’art. 610 cod.pen, la condotta del 18 maggio 2010,lo ha condannato con le circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi sette di reclusione per tale ultimo reato e per quello di cui all’art. 328, comma 1, cod. pen..La Corte di appello ha ritenuto accertato che in più occasioni il medico di base della denunciante aveva indebitamente rifiutato di prescrivere i farmaci dei quali la stessa, che aveva subito un intervento chirurgico di neoplasia mammaria, aveva bisogno; che, in occasione dei fatti occorsi il 18 maggio, aveva anche tentato di spingerla fuori dallo studio tanto che la vicina di casa aveva sentito chiaramente la denunciante dire “tu le mani addosso a me non le metti”.

La Corte territoriale ha disatteso la contraria versione dell’imputato secondo la quale la parte civile si recava in studio ad orario di visita ormai terminato, sul rilievo che, in entrambe le circostanze, la persona offesa si trovava certamente nell’ambulatorio medico il ché rende del tutto logico presumere che essa vi avesse acceduto in orario di apertura al pubblico non essendo verosimile che l’accesso all’ambulatorio fosse possibile anche in orario di chiusura, tanto più che l’imputato aveva, a suo dire, l’abitazione nei medesimi locali. Ne consegue la manifesta infondatezza della prospettazione difensiva del (Omissis), secondo la quale la condotta violenta tenuta, sospingendo fuori dallo studio la paziente, sia da ritenere scriminata perché finalizzata a far cessare la prosecuzione dei reati di violazione di domicilio ovvero violenza privata che la paziente stava ponendo in essere nei suoi confronti, poiché lo studio del medico di base, anche se privato, è destinato a un pubblico servizio negli orari di apertura al pubblico e, pertanto, legittimamente la paziente vi si tratteneva in attesa di essere ricevuta dal medico e per ragioni sanitarie.

La giurisprudenza di legittimità ha più volte chiarito che il reato di rifiuto di atti di ufficio è un reato di pericolo; pertanto ricorre la violazione dell’interesse tutelato dalla norma incriminatrice (al corretto svolgimento della funzione pubblica) ogniqualvolta venga denegato un atto non ritardabile alla luce delle esigenze prese in considerazione e protette dall’ordinamento, prescindendosi dal concreto esito dell’omissione. E, a prescindere dalla richiesta o da un ordine, il rifiuto penalmente rilevante si verifica anche quando sussista un’urgenza sostanziale, impositiva del compimento dell’atto, in modo tale che l’inerzia del pubblico ufficiale assuma la valenza di rifiuto dell’atto medesimo.

Il Collegio ritiene che i giudici del gravame hanno correttamente esaminato e valutato le emergenze processuali pervenendo alla conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato con puntuale e adeguato apparato argomentativo che si sottrae a censure nel giudizio di legittimità. Nella ricostruzione della sentenza impugnata, assume rilevo, ai fini della sussistenza del reato, non già la doverosità della prescrizione richiesta al medico di base, in ragione dell’orario di apertura al pubblico dell’ambulatorio  e della circostanza che la ricusazione della paziente avrebbe avuto effetto solo a partire dal sedicesimo giorno della comunicazione, eseguita il precedente 17 maggio 2010, bensì la valutazione della doverosità e della indifferibilità della prescrizione terapeutica richiesta al’imputato perché relativa ad una terapia oncologica in corso, a lui ben nota,che non poteva subire interruzioni, necessaria per la cura della grave patologia dalla quale la persona offesa era affetta, terapia già prescritta dal medico specialista che seguiva la denunciante, assunto questo non smentito dall’imputato che, al fine di giustificare la condotta omissiva, non ha mai neppure addotto contrarie indicazioni di carattere terapeutico.

Le circostanze di fatto illustrate nella sentenza impugnata connotano, pertanto, una situazione di urgenza sostanziale, impositiva del compimento dell’atto, in modo tale che l’inerzia del pubblico ufficiale assume la valenza del consapevole rifiuto dell’atto medesimo, in presenza di una situazione di indifferibilità dell’atto richiesto, rapportata alla sussistenza di un effettivo pericolo di conseguenze dannose alla salute della persona, indifferibilità che va correlata al potere demandato al sanitario di decidere sulla necessità della terapia ma che non integra una valutazione discrezionale del medico e che si è risolta in un indebito comportamento omissivo giustificato dall’imputato sulla base di generici richiami, rivelatisi del tutto infondati, al rispetto dell’orario di visita e alla copertura farmacologica delle precedenti prescrizioni rispetto alle necessità della paziente di non interrompere la terapia in corso