Sanità, le responsabilità morali della follia che uccide

Ivan Cavicchi (Il fatto quotidiano)

sabato 07 settembre 2013

“Bari uccisa una psichiatra  a coltellate da un malato”. La stampa ha dato questa notizia in diversi modi: “episodio”, “atto luttuoso”, “tragedia”, “tragedia annunciata”….ecc. Quando un folle uccide qualcuno è un “crimine” di fatto, ma in realtà è una “disgrazia” causata dalla sua infermità mentale, una “malattia” per esempio o una “grave dipendenza”. Il crimine così, diventa un “incidente”. Ma la tragedia di Bari è solo un incidente? Secondo me no.

La parola che vi propongo, ma soprattutto nel significato dei matematici, è “catastrofe” cioè una crisi, una rottura, una discontinuità, che coemerge, cioè viene improvvisamente fuori, da tante piccole crisi tra loro apparentemente senza rapporto e che a un certo punto uccidono una psichiatra o fanno crollare la diga del Vajont(1963), o causano un inquinamento senza precedenti (Bhopal 1984), o contaminano il pianeta (Chernobyl 1986). La dinamica di una catastrofe non è diversa se a morire è una psichiatra o tante persone. Le variabili in gioco possono essere tante anche se a morire è una sola persona o di minor numero anche se a morire sono tante persone. Non esiste una metodologia di prevenzione della catastrofe l’unico modo per prevenirla è progettare un sistema a rischio quasi zero di eventi catastrofici. Ma in psichiatria  o nel campo dei servizi per le dipendenze ridurre il rischio di catastrofi come quello di Bari significa dedurre da diversi tipi di “malati catastrofici” organizzazioni calibrate in ogni componente. Vorrei ricordare che questi “malati catastrofici” non uccidono solo gli altri ma  a volte uccidono anche se stessi. In entrambi i casi per un servizio è un terribile fallimento, una “catastrofe” per l’appunto. In una organizzazione sufficientemente ragionevole gli operatori sanno gestire i vari generi di catastrofi, è il loro mestiere. Ma cosa significa di questi tempi una organizzazione ragionevole?

In alcune regioni per problemi di risparmio hanno accorpato la salute mentale con la dipendenza, eppure sono problematiche molto diverse. E’unaorganizzazione ragionevole? Se i dipartimenti hanno gli organici decimati come avviene la presa incarico? Proprio perché sono consapevole della complessità di una catastrofe non mi sogno di imputare l’omicidio di Paola Labriola a delle cause lineari e meno che mai  mi sogno di trovare le soluzioni con la stessa logica, magari mettendo dei metal detector all’ingresso dei servizio includendo nei colloqui coni malati un corpulento vigilantes con la pistola, ma la morte di Paola Labriola non può essere, a causa della sua complessità, incomprensibile. Oggi i servizi per le dipendenze e per la salute mentale non se la passano per niente bene,gli operatori sono demoralizzati, esposti a rischi tutti i giorni  e i malati  che loro tentano di curare appaiono sempre più smisurati rispetto alle loro forze reali.

Per rendere in qualche modo comprensibile la morte di Paola Labriola vorrei introdurre altre due parole: imputabilità e responsabilità, con la prima si tenta di ricondurre a qualche causa/colpa, la catastrofe. Con la seconda invece si intende la capacità nel nostro caso dei responsabili della sanità ad ogni livello, di prevedere le conseguenze delle loro politiche. I benpensanti che si sono pronunciati sui giornali hanno considerato la morte di Paola Labriola una tragedia praticamente imperscrutabile, quindi inevitabilecioè senza imputabilità e senza responsabilità. In questi casi è un classico, non rimane che trasformare la “catastrofe” in una questione di ordine pubblico: Vendola, il governatore della Puglia, parla esplicitamente di “materia di pubblica sicurezza” e di “comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza pubblica”; quella creatura della ministra Lorenzin vuole parlare con il ministro degli interni Alfano; l’assessore alla sanità delle Puglia, Elena Gentile, decide, in piena logica dell’emergenza, di accorpare ben 45 servizi  per “presidiarli”.

Rispetto a tutte queste semplificazioni dichiaro apertamente il mio dissenso. Non sarà l’ordine pubblico a risolvere il problema delle “catastrofi”, ma solo delle ragionevoli politiche sanitarie. Mettere sotto sorveglianza speciale un sistema non risolve nulla, lava solo le coscienze e rassicura la burocrazia. La morte di Paola Labriola se non è imputabile a precisi fattori causali ricade comunque nell’ambito delle responsabilità politiche e morali di chi ha permesso che sistemi di cura tanto delicati come quelli della salute mentale e per le dipendenze, fossero sempre più  indeboliti da restrizioni di ogni tipo, finanziarie, di organico, di mezzi. Oggi  tutti i servizi per la salute mentale e per le dipendenze sono oltremodo indeboliti. Allora… ministra Lorenzin, presidente Vendola, assessore Gentile invece di seppellire un morto con quantità impressionanti di retorica sulla “sicurezza” chiedete al governo una deroga al blocco del turn over che da anni sta paralizzando questi servizi. La responsabilità quanto meno morale della morte di Paola Labriola è tutta vostra.