“Non posso diventare medico perché sono una donna incinta”

Negato a una trentenne il tirocinio di tre mesi: “Nel suo stato rischia infezioni”

mercoledì 27 aprile 2016

La Stampa

27/04/2016
NOEMI PENNA
TORINO
Sei incinta? Non puoi fare l’abilitazione medica. È quello che si è sentita dire una dottoressa laureata in medicina a Torino in attesa di conseguire l’esame di Stato. Terminato il ciclo di studio, ogni medico deve sostenere l’abilitazione che consiste in un tirocinio di tre mesi (due in reparti di medicina e chirurgia, uno in uno studio di un medico di base) e in un esame scritto a crocette. Una procedura indispensabile per iscriversi all’albo, ma non concessa a Ginevra, trentenne torinese in dolce attesa da poche settimane. «La visita di medicina del lavoro mi ha ritenuta idonea con limitazioni, ovvero con la raccomandazione di non essere inserita in reparti a rischio come l’infettivologia e il pronto soccorso. E invece tre giorni dopo mi hanno chiamato per chiedermi come avrebbero potuto rimborsarmi l’iscrizione all’esame, visto che non potevo sostenerlo. Com’è possibile che la gravidanza venga considerata una limitazione e mi mettano davanti alla scelta di dover decidere fra il figlio e la carriera medica? Questa è una discriminazione».  
 
GRAVIDANZA COME MALATTIA  
A prendersi carico della situazione di Ginevra è ora «Chi si cura di te?», la campagna per la conquista di diritti e tutele per specializzandi, camici grigi, medici di medicina generale in formazione. Questo perché «non sono più una studentessa ma non possono rivolgermi all’Ordine dei medici perché senza abilitazione non posso iscrivermi all’albo e neanche all’Enpam. E ora non potrò neanche sostenere la prova d’ammissione alla specializzazione così come il test medicina generale». Tutto rinviato a data da destinarsi «perché sono incinta. Avrei potuto terminare tutto entro il quinto mese di gestazione, periodo in cui tutte le donne lavorano e invece a me non è stato permesso. Sono stata paragonata a un tirocinante con la tubercolosi». 
 
DUE ANNI DI STOP  
Ginevra spera di poter recuperare con la sessione di novembre, ma a spiegare che non sarà possibile è il professor Canzio Romano della Medicina del lavoro del Cto: «La legge parla chiaro. La normativa limita per le donne in stato interessante l’esposizione a rischi biologici sino al settimo mese di vita del bambino. Non è discriminazione, è tutela del lavoratore ed è nostro dovere non esporla ad alcun rischio». «La loro è solo medicina preventiva – risponde Ginevra –: in ospedale ho guanti e mascherina e le stesse infezioni potrei prenderle sul pullman così come in coda alle poste. Se anche a novembre rifiuteranno la domanda, farò ricorso al Tar». 
 
BATTAGLIA PER I DIRITTI  
Può una legge che dovrebbe tutelare i lavoratori limitare un diritto? A chiederselo è anche Gaia Deregibus, promotrice della campagna «Chi si cura di te?»: «In un sol colpo vediamo insieme i limiti del sistema universitario italiano. La differenza di genere nel mondo medico e l’obbligo del tirocinio per l’esame di Stato, che rallenta i tempi di entrata nel mondo del lavoro per colpa di un corso di studio di sei anni non abilitante alla professione».