Psichiatra uccisa, terremoto all’Asl dg indagato, fece cambiare gli atti

Al manager è stata contestata l’induzione in concussione. Iscritti anche due dirigenti

venerdì 08 novembre 2013

GABRIELLA DE MATTEIS GIULIANO FOSCHINI  (Repubblica Bari)

Il piano di prevenzione del rischio, quello che avrebbe dovuto garantire la sicurezza sul lavoro di Paola Labriola, è stato falsificato dopo l’omicidio della psichiatra. Così da sviare le indagini e mettere la carte a posto. Lo ha raccontato agli investigatori il responsabile del servizio di protezione della Asl, Alberto Gallo. Il dottor Gallo ha messo a verbale un particolare in più: a chiederglielo sarebbe stato il direttore generale della Asl, Domenico Colasanto, che per questo è indagato per induzione in concussione. Per questo nella serata di ieri gli uomini della squadra mobile gli hanno notificato un avviso di garanzia. Iscritti nel registro degli indagati ci sono anche i due dirigenti dell’unità operativa di prevenzione, Baldassarre Lucarelli e Nicola Bianco, oltre chiaramente a Gallo.

La storia nasce il 12 settembre quando Repubblica, documenti alla mano, racconta come il centro di via Tenente Casale dove la psichiatra è morta fosse, fuori norma. Non solo, si dava conto della mancanza almeno agli atti ufficiali di quel documento di prevenzione del rischio aziendale che la polizia stessa cercava da giorni. «Non c’è nessuno scandalo, nessun giallo - aveva risposto Colasanto - Semplicemente il dirigente è in ferie. Ho già scritto alla Procura per spiegargli che appena rientra forniremo tutti gli atti». Evidentemente però qualche problema c’era, perché quando Gallo è rientrato, è vero che le carte sono state inviate. Ma, ammette ora lo stesso medico in una lunga deposizione che è stata secretata dagli inquirenti, molti di quegli atti sono stati preparati in un secondo momento, in modo da rendere in regola sia la struttura di via Tenente Casale sia gli altri centri della Provincia. A chiedere questo intervento, racconta ora Gallo, sarebbe stato proprio Colasanto, che temeva di subire personalmente ripercussioni.

Che la situazione stesse prendendo una brutta piega, d’altronde, lo aveva capito subito la Polizia che non a caso il 10 settembre ascoltò proprio Colasanto nella speranza di capirci qualcosa di più su quello che stava accadendo negli uffici della Asl. Cinque giorni dopo l’omicidio, il 9 settembre, l’azienda approva in tutta fretta una delibera con la quale viene prorogato «l’incarico di responsabile del servizio di prevenzione e protezione», proprio del dottor Gallo. Si tratta «del professionista esperto in sicurezza, in protezione e prevenzione» che gestisce e coordina «l’insieme delle persone, sistemi e mezzi esterni o interni all’azienda di protezione dai rischi professionali per i lavoratori». Colui quindi che avrebbe dovuto vigilare e vagliare la sicurezza sul posto di lavoro. Al momento dell’omicidio quella figura mancava: il contratto di proroga era scaduto il 30 giugno e solo il 9 settembre è stato prorogato allo stesso professionista. Una mancanza centrale, a maggior ragione per la Asl che ha il compito di controllare e multare tutte quelle aziende che non rispettano i canoni di sicurezza sul lavoro.

Agli atti sono finite poi le denunce di Paola, che in un’occasione anche davanti ai Carabinieri, aveva rivelato le continue aggressioni
e le condizioni di lavoro nelle quali lei e le sue colleghe erano costrette a vivere. «Il nostro compito - aveva spiegato l’avvocato di parte civile, Michele Laforgia - è quello di continuare il lavoro di Paola e fare tutto quello che è possibile per assicurare un lavoro sicuro».

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