Omicidio della psichiatra Confermata condanna a 30 anni

«Poliseno era capace di intendere e volere quando colpì la vittima»

venerdì 20 maggio 2016

La Gazzetta di Bari

GIOVANNI LONGO " Anche per la perizia disposta nel secondo grado di giudizio Vincenzo Poliseno, di 40 anni, era capace di intendere e volere quando sferrò 70 coltellate alla psichiatra Paola Labriola. Così la Corte di Assise di Appello di Bari ha confermato la condanna a 30 anni di reclusione inflitta nei suoi confronti in primo grado. La donna fu uccisa con 70 coltellate il 4 settembre 2013 mentre era a lavoro nel centro di salute mentale di via Tenente Casale, nel quartiere Libertà.

Un omicidio volontario, aggravato da crudeltà e futili motivi. Le conclusioni della nuova perizia psichiatrica chiesta dal difensore di Poliseno, l'avvocato Filippo Castellaneta, non si sono discostate dall'accertamento medico legale disposto nel processo di primo grado. Poliseno era «capace di intendere e volere». Sentenza confermata anche con conferimento al risarcimento riconosciuti a favore dei familiari della vittima, parte civile nel processo e rappresentati dall'avvocato Michele Laforgia (studio Polis).

Cronaca di una morte «tristemente» annunciata, quella di Paola Labriola. Per il gup del Tribunale di Bari Roberto Olivieri del Castillo davanti al quale si è celebrato il processo di primo grado, il centro di salute mentale «era frequentato quotidianamente da soggetti con gravi turbe psichiche o con disagi del comportamento, anche già sottoposti a procedimenti penali per fatti violenti, come lo stesso Poliseno, che potevano in qualunque momento dar luogo ad esplosioni di rabbia incontrollata nei confronti di chiunque e specialmente di operatori sanitari».

Le motivazioni della sentenza erano quasi un atto d'accusa nei confronti di chi non ha «mai previsto alcun tipo di pur minimo assetto o presidio di sicurezza a tutela del personale». Sulle presunte responsabilità della Asl che non avrebbe garantito la sicurezza sul luogo di lavoro della dottoressa Labriola, contribuendo così a causarne la morte, è in corso l'udienza preliminare nei confronti di altre sei persone, tra le quali l'ex direttore generale della Asl di Bari Domenico Colasanto.

Il pm Baldo Pisani, che ha coordinato le indagini della Squadra mobile, ha chiesto il rinvio a giudizio, per i reati contestati a vario titolo per morte come conseguenza di altro reato, omissione di atti d'ufficio, falso e induzione indebita a dare o promettere utilità. Gli accertamenti sulle presunte responsabilità della pubblica amministrazione devono essere «a tutela sia della memoria della vittima - aveva scritto il gup - sia di chi continua ad operare quotidianamente in posti di frontiera, siano essi scuole, ospedali o presidi di salute mentale, nell'interesse della collettività e nel disinteresse della Pubblica amministrazione, salvo poi esprimere cordoglio e lutto nei casi di omicidi di servitori dello Stato che muoiono nell'adempimento del proprio dovere quotidiano».