Il caso Zaray e la salute intesa come algoritmo

«Il rapporto tra medico e paziente è uno speciale incontro tra scienza e speranza»

sabato 09 dicembre 2017

Corriere del Mezzogiorno

Viviamo in un'epoca in cui questo rapporto tra medico e paziente, così come precedente descritto, ha subito molte trasformazioni. I medici oggi operano in "aziende". Ossia in luoghi in cui gli obiettivi di salute si sono piano piano trasformati in risultati economici. Ad ogni medico è consegnato mensilmente un re-port sulla sua spesa sanitaria e molti medici in questo paese sono stati chiamati a rispondere rispetto all'accesso di spesa prodotta. Non sono ovviamente contrario ad una programmazione, né ad una corretta verifica dei processi di spesa, atteso che buona parte di queste risorse provengono dalle case pubbliche. A tale proposito, vorrei porre l'attenzione sull'evoluzione che ha subito nel tempo in Italia l'idea di sistema sanitario, ossia la trasformazione da unità di cure e assistenza ad azienda, con l'introduzione dei meccanismi e di logiche produttive. Un sistema sanitario che è sempre stato basato sul rapporto tra medico e paziente in cui la dimensione umana, difficilmente quantificabile ai fini economici, ha avuto una parte fondamentale a garanzia della libertà del cittadino nel comprendere e accettare le proposte di assistenza che il medico, nel rispetto della sua autonomia, indipendenza e libertà, proponeva. Il caso di Zaray Tatiana Gada-leta Coratella purtroppo non è sporadico. I carichi di lavoro eccessivi, le carenze di personale, le apparecchiature obsolete, gli strumenti informatici non idonei, le limitazioni prescrittive, la strabordante burocrazia, gli algoritmi condizionanti le scelte terapeutiche, i luoghi di lavoro insicuri e indecorosi hanno lacerato il rapporto di fiducia tra medico e cittadino, al punto da generare sempre più frequentemente episodi di violenza nei confronti degli stessi operatori sanitari, ma allo stesso tempo l'indifferenza, il "silenzio", la mancanza di quella pietà che Pellegrini richiama essere alla base del processo di cura. Tornare ad esercitare la professione medica in "scienza e coscienza" è la strada per ritrovare quei valori che possono ripristinare il sentimento non solo di pietà, ma di rispetto della dignità umana che si deve ad ogni paziente. Valori che sono custoditi proprio nel Codice di Deontologia Medica su cui ogni medico, all'inizio della sua professione, ha prestato giuramento. «Nel praticare la professione medica il medico deve, con scienza e coscienza, perseguire un unico fine: la cura del malato......a nessuno è consentito di anteporre la logica economica alla logica della tutela della salute, né di diramare direttive che, nel rispetto della prima, pongano in secondo piano le esigenze dell'ammalato.... Il medico non è tenuto al rispetto di quelle direttive, laddove esse siano in contrasto con le esigenze di cura del paziente, e non può andare esente da colpa ove se ne lasci condizionare, rinunciando al proprio compito e degradando la propria profes- sionalità e la propria missione a livello ragionieristico» (sentenza Corte di Cassazione n. 8254/2011).