Invalidità e accompagnamento, come contestare la visita dell’Inps

Si deve contestare la consulenza tecnica d’ufficio eseguita con l’accertamento tecnico preventivo.

lunedì 13 febbraio 2017

LEGGE PER TUTTI
Chi chiede la visita per l’invalidità o l’accompagnamento, deve contestare la consulenza tecnica d’ufficio eseguita con l’accertamento tecnico preventivo.
Una volta espletata la visita medica dell’Inps per l’accertamento dell’invalidità, anche ai fini della richiesta dell’accompagnamento, chi intende contestare l’esito della stessa e la percentuale di invalidità riconosciuta dalla commissione deve attivare un procedimento di accertamento tecnico preventivo. In esito a questa procedura, l’istante è libero di contestare la consulenza tecnica (Ctu) e, in tal caso, avviare una regolare causa. Sono queste le importanti linee guida espresse dal Tribunale di Roma con una recente sentenza [1].

Per ottenere il riconoscimento dell’invalidità grave, ai sensi della legge 104 del 1992 [2], bisogna dimostrare di presentare una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione.
 
A questo riconoscimento si può aggiungere la richiesta di un rimborso per le spese necessarie a pagare un accompagnatore (cosiddetta «indennità di accompagnamento» ai sensi della legge 18 del 1980 [3]). A tal fine è necessario dimostrare di essere nell’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore o di non essere in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, abbisognano di un’assistenza continua.

La differenza tra l’accompagnamento e l’handicap della 104

Nello specifico, come chiarito di recente dal tribunale di Napoli [4], l’indennità di accompagnamento è una prestazione economica, erogata a domanda, in favore dei soggetti mutilati o invalidi totali per i quali è stata accertata l’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore oppure l’incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita.

Nel riconoscimento dello stato di handicap, invece, viene presa in considerazione la difficoltà d’inserimento sociale dovuta alla patologia o menomazione riscontrata. Il concetto di handicap – sempre come definito dalla Legge n. 104/92 – esprime la condizione di svantaggio sociale che una persona presenta nei confronti delle altre persone ritenute normali e si differenzia dalla menomazione (fisica, psichica o sensoriale) che da quella condizione ne è la causa. In altre parole, lo stato di handicap per la sua valutazione tiene conto della difficoltà d’inserimento sociale della persona disabile, difficoltà che è dovuta alla patologia o menomazione di cui una questa persona è affetta. Lo stato di handicap riguarda coloro che hanno una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e che è tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione. In questo caso la valutazione non verte, dunque, solo sull’accertamento di tipo fisico, ma anche sulle conseguenze di tipo sociale che la minorazione comporta.


La procedura per ottenere accompagnamento e/o invalidità

Il codice detta una disciplina specifica per questo tipo di giudizi. Val la pena riportare il testo della norma in questione, l’articolo 445 bis del codice di procedura civile:

«Nelle controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità, disciplinati dalla legge 12 giugno 1984, n. 222, chi intende proporre in giudizio domanda per il riconoscimento dei propri diritti presenta con ricorso al giudice competente ai sensi dell’articolo 442 codice di procedura civile, presso il Tribunale del circondario in cui risiede l’attore, istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere. Il giudice procede a norma dell’articolo 696-bis codice di procedura civile, in quanto compatibile nonché secondo le previsioni inerenti all’accertamento peritale di cui all’articolo 10, comma 6-bis, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, e all’articolo 195.

L’espletamento dell’accertamento tecnico preventivo costituisce condizione di procedibilità della domanda di cui al primo comma. L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto a pena di decadenza o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che l’accertamento tecnico preventivo non è stato espletato ovvero che è iniziato ma non si è concluso, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione dell’istanza di accertamento tecnico ovvero di completamento dello stesso.
 
La richiesta di espletamento dell’accertamento tecnico interrompe la prescrizione.

Il giudice, terminate le operazioni di consulenza, con decreto comunicato alle parti, fissa un termine perentorio non superiore a trenta giorni, entro il quale le medesime devono dichiarare, con atto scritto depositato in cancelleria, se intendono contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio.

In assenza di contestazione, il giudice, se non procede ai sensi dell’articolo 196, con decreto pronunciato fuori udienza entro trenta giorni dalla scadenza del termine previsto dal comma precedente omologa l’accertamento del requisito sanitario secondo le risultanze probatorie indicate nella relazione del consulente tecnico dell’ufficio provvedendo sulle spese. Il decreto, non impugnabile né modificabile, è notificato agli enti competenti, che provvedono, subordinatamente alla verifica di tutti gli ulteriori requisiti previsti dalla normativa vigente, al pagamento delle relative prestazioni, entro 120 giorni.

Nei casi di mancato accordo la parte che abbia dichiarato di contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio deve depositare, presso il giudice di cui al comma primo, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla formulazione della dichiarazione di dissenso, il ricorso introduttivo del giudizio, specificando, a pena di inammissibilità, i motivi della contestazione.


La sentenza che definisce il giudizio previsto dal comma precedente è inappellabile».

Dunque, questo giudizio (o meglio questa seconda ed eventuale fase del giudizio) sotto il profilo sanitario ha un carattere esclusivamente impugnatorio, tanto che la mancata specificazione dei motivi di contestazione della Ctu impone al giudice di emettere una sentenza di carattere processuale di inammissibilità. E se la mancanza di contestazioni comporta l’inammissibilità del ricorso, è vero, al contrario, che il ricorso introduttivo del giudizio in tanto è ammissibile in quanto abbia ad oggetto la contestazione della Ctu; il che equivale a dire che oggetto del ricorso può essere esclusivamente la richiesta di pervenire ad un accertamento sanitario difforme (totalmente o anche solo parzialmente) da quello contenuto nella Ctu.


note
[1] Trib. Roma, sent. n. 11038/2016.

[2] Legge n. 104/1992.

[3] Art. 1 L. n. 18/1980. 1. Ai mutilati ed invalidi civili totalmente inabili per affezioni fisiche o psichiche di cui agli articoli 2 e 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118, nei cui confronti le apposite commissioni sanitarie, previste dall’art. 7 e seguenti della legge citata, abbiano accertato che si trovano nell’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore o, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, abbisognano di un’assistenza continua, è concessa un’indennità di accompagnamento, non reversibile, al solo titolo della minorazione, a totale carico dello Stato, dell’importo di lire 120.000 mensili a partire dal 1° gennaio 1980, elevate a lire 180.000 mensili dal 1° gennaio 1981 e a lire 232.000 mensili con decorrenza 1° gennaio 1982. Dal 1° gennaio 1983 l’indennità di accompagnamento sarà equiparata a quella goduta dai grandi invalidi di guerra ai sensi della tabella E, lettera a-bis, n. 1, del decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, n. 915.

La medesima indennità è concessa agli invalidi civili minori di diciotto anni che si trovano nelle condizioni sopra indicate. Sono escluse dalle indennità di cui ai precedenti commi gli invalidi civili gravi ricoverati gratuitamente in istituto.

[4] Trib. Napoli, sent. n. 3013/16.